In rete sempre più bugie studiate ad arte Società

Non fidatevi di tutte le citazioni che trovate su internet, molte potrebbero essere false. Firmato Oscar Wilde. Questa frase, accompagnata da una foto del celebre scrittore irlandese, si può trovare su diverse pagine Facebook ed è emblematica di ciò che il dizionario della lingua inglese di Oxford ha battezzato post-truth, ossia post-verità. Questo neologismo è stato selezionato come la parola del 2016.

Ma cos’è la post-verità? La post-verità, tanto per essere chiari sin da subito, è una bugia, ma diffusa in rete in maniera virale al punto tale da diventare credibile, non solo per gli ingenui, i creduloni o le persone con un basso livello d’istruzione. Anche gli insospettabili, spesso e volentieri, finiscono per cadere nel tranello della post-verità: secondo un sondaggio, un utente di social su tre ha contribuito a diffondere, almeno una volta, una bufala credendo fosse realtà.

Le post-verità non sono burle, come quella dei gatti bonsai fatti crescere all’interno delle bottiglie, ma nemmeno leggende urbane (come la storia dei vermi negli hamburger di una nota catena di fast food): a volte si tratta di autentiche bugie studiate a tavolino con scopi ben precisi. Una post-verità che è circolata a lungo, anni fa, riguardava la fede musulmana del (quasi) ex presidente degli Stati Uniti Obama.

È chiaro che, a suo tempo, chi mise in giro questa notizia del tutto infondata lo fece per danneggiare la sua candidatura alla Casa Bianca. Nel corso del 2016, il deputato britannico Nigel Farage ha diffuso post-verità sui costi sostenuti dal Regno Unito in qualità di membro dell’Unione Europea, allo scopo di sollevare l’indignazione popolare e far pendere il risultato del referendum sulla Brexit dalla parte dell’uscita dall’UE.

In questo caso, nonostante le smentite degli organi istituzionali, la disinformazione ha contribuito alla vittoria del partito favorevole alla Brexit.

Restando entro i confini del nostro paese, in tempi recenti diverse post-verità hanno tenuto banco: per fare degli esempi, quella sulla presunta pericolosità dei vaccini e quella sul sisma dell’Italia centrale, che compiacenti scienziati avrebbero declassato allo scopo di far risparmiare al governo costosi risarcimenti ai sopravvissuti.

In entrambe queste situazioni, i mezzi di comunicazione ufficiali, per così dire, hanno più volte ribadito, intervistando medici immunologi nel primo caso e sismologi dell’INGV nel secondo, quale fosse la realtà secondo gli studiosi.

Ma oggi la sfiducia nelle istituzioni si è estesa dagli esponenti politici ad una serie di categorie professionali, da taluni denominate caste, che include anche magistrati, scienziati e, ahinoi, giornalisti. Quindi in molti preferiscono prestare fede al blogger indipendente che ricicla panzane prese chissà dove in rete piuttosto che credere ai giornalisti “asserviti” (che magari si documentano ed interpellano esperti prima di scrivere).

Questa faccenda della post-verità inizialmente è stata sottovalutata come uno dei tanti fastidi cui avremmo dovuto assuefarci dopo la diffusione di internet e la nascita dei social, ma ultimamente ha raggiunto dimensioni preoccupanti. Persino l’ex premier Renzi, prima di dimettersi in seguito ai risultati del referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre, ha accusato i media di aver contribuito alla vittoria del No diffondendo post-verità.

E Mark Zuckerberg, il creatore di Facebook, sta valutando l’ipotesi di aggiungere la possibilità per gli utenti di segnalare, oltre ai messaggi che possano in qualsiasi modo offendere il prossimo, anche le notizie che si sospetta siano false, in maniera tale che vengano vagliate e, nel caso, che chi le ha messe in circolazione sia identificato. Certo, non è un’impresa facile, soprattutto è arduo distinguere chi mente in mala fede da chi ha semplicemente condiviso un contenuto senza approfondire. Ma se davvero ci troviamo, come molti sostengono, nell’era della post-verità, allora dobbiamo prestare molta attenzione a tutto ciò che leggiamo e prenderci la briga di verificare prima di credere.

Saluti dalla plancia,

CARLO DELASSO

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