Trekking, il Taburno non è solo montagna Ambiente

Circa duemilacinquecento anni fa il monte Taburno veniva percorso in lungo e in largo dagli abitanti di Caudio e Saticula; la passione per la splendida ‘dormiente’ oggi non si placa, anche perché la montagna sacra dei Sanniti si offre splendida in tutte le sue sfaccettature più affascinanti. L’antica transumanza che costringeva i pastori a percorrere i sentieri da cima a valle, oggi si è trasformata in un’attività di trekking tra le più richieste e gratificanti. L’Associazione Escursionistica Taburno Trekking si dedica proprio alla riscoperta dei paesaggi naturali, architettonici e culturali del monte. Dando un contributo importante alla tutela e all’ecologia. Del monte Taburno visto come Bene Comune ci parla Giovanni Cecere, presidente e fondatore dell’Associazione. L’ho ideata nel 2015 – racconta – e da allora la rappresento ininterrottamente. Conoscevo già il monte Taburno; un mio amico mi invogliò ad andare con lui a camminare e la cosa mi piacque tanto che pensai di impegnarmi per creare qualcosa che andasse a incidere sul territorio e l’ambiente. L’associazione, infatti, è nata proprio a scopo di tutela e di promozione del territorio. L’Associazione Escursionistica Taburno Trekking ha sede a Montesarchio, parte moderna dell’antica Caudio, e rappresenta un caso particolare. Cecere conferma: Siamo partititi con un obbiettivo diverso: quattro o cinque amici che si incontravano e andavano a camminare in montagna. Dopo poco tempo ci siamo impegnati nella salvaguardia e promozione del monte

Quanti associati avete oggi?

Il primo anno l’Associazione contava 26 iscritti; si è man mano ampliata, fino a contare oggi circa 150 iscritti, diventando un impegno molto importante per me

Da dove provengono le persone che praticano il trekking sul Taburno?

Sorpattutto da Montesarchio ma anche da Benevento, Cervinara, Airola, Moiano, Telese, Solopaca, San Martino Valle Caudina, Caserta, Maddaloni e Napoli

La fascia di età è variabile o c’è un target preciso dei soci?

Il trekking non è uno sport agonistico; non occorrono atleti super allenati, è adatto a tutti. Abbiamo giovanissimi che non pagano l’iscrizione e soci di 75/77 anni. Ciò è possibile perchè organizziamo percorsi diversi, catalogati in base ad una nostra scala di difficoltà. Si va in escursione tutte le domeniche mattina e nei giorni di festa, previa pubblicazione del percorso proposto. Le persone conoscono in anticipo la distanza, il luogo, la difficoltà del tragitto; in base alle loro caratteristiche fisiche scelgono se partecipare o meno all’ escursione. Le comitive di trekker contano un massimo di 30-35 persone ad escursione

Quali sono gli itinerari più belli che percorrete?

Il monte Taburno è uno dei più belli della Campania; lo percorriamo in tutte le sue parti. Nell’escursione più impegnativa, classificata da una doppia E che sta per ‘Escursionisti Esperti’, risaliamo un versante riscendendo da un altro. I percorsi sono comunque molto vari, circa 50-60; li cambiamo di volta in volta ripetendoli a distanza di un anno o due. Difficile dire quale sia il più bello. Mi viene in mente il percorso delle Tre Piane: Cepino, Trellica e Melaino. Sono doline, cioè inghiottitoi di raccolta acque in caverne scavate nella roccia carsica che, attraverso un acquedotto lungo 38 km progettato e costruito in epoca Borbonica da Luigi Vanvitelli, raggiunge ancora oggi le cascate del giardino nella Reggia di Caserta e un tempo muoveva i mulini reali e le macchine per la seta di S. Leucio. Sul proposito mi piace ricordare che la nostra Associazione qualche anno fa ha identificato e riaperto un antico sentiero di pertinenza dell’acquedotto: il tratto che va dal ponte Carlo III al lago Varlata, reso oggi fruibile a tutti. Ciò ha dato modo di tenere molti eventi celebrativi in quel punto.

La moderna tutela del Paesaggio come Bene Comune prevede proprio la fruizione degli ‘insider’ vista come forma di monitoraggio: percorrendo i luoghi e scattando foto ci si accorge se ci sono criticità e forme di degrado oltre a percepire il valore del Bene. Fase preparatoria, questa, per la promozione turistica vera e propria rivolta agli outsider. Anche Cecere la pensa così: Questo concetto centra in pieno il focus della nostra attività. Mentre camminiamo raccogliamo rifiuti abbandonati, copertoni d’auto e plastiche di ogni tipo, segnalando le discariche in montagna. Abbiamo segnalato dei massi fermati da un albero pericolante, una situazione rischiosa per la strada sottostante. Stiamo ultimando, la tracciatura di un sentiero per conto dall’Ente Parco del Taburno, chiamato ‘Cammino della Dormiente’ che attraversa Prata e Camposauro arrivando a Vitulano, lungo circa 80 chilometri. Segnaliamo ai Carabinieri della Forestale abusi sui sentieri pubblici inglobati nelle proprietà private; o le trappole avvelenate per i lupi nascoste dagli allevatori. Denunciamo ogni abuso di transito con moto e auto ‘fuoristrada’; diamo l’allerta incendi. Infine, la nostra associazione ha restaurato la croce in ferro alta 9 metri che si vede sulla cima del monte, sostituendo i pezzi danneggiati. Un lavoro titanico, perché i materiali sono stati portati a spalla fino alla cima.

Un’azione di tutela doverosa, visto che i geositi del parco del Taburno sono candidati come Global Geopark all’UNESCO. Le azioni riguardano anche il centro abitato?

L’Associazione Taburno trekking da questo punto di vista è anomala, perchè portiamo avanti azioni diverse dal semplice escursionismo. Spesso portiamo i soci a camminare anche nel Centro Storico di Montesarchio, che è molto grande: l’ intera estensione è di circa 6 chilometri. Il giro destinato ai trekker e alle scolaresche è di circa 2 chilometri. Pur non essendo guide turistiche, insieme al vicepresidente Pino Sabatino ed altri soci descriviamo il percorso, proponendo ai visitatori un vero e proprio viaggio nel tempo. Illustriamo le varie epoche storiche succedutesi, che vanno dai Sanniti ai Borboni, testimoniate da edifici e monumenti. Purtroppo il Centro Storico, anche se ancora abitato, è in parte decadente. Qualche giorno fa, insieme al Sindaco di Montesarchio Carmelo Sandomenico e all’assessore Morena Cecere, siamo andati a ripulire dai rifiuti alcune aree per dare l’esempio

Lavorate quindi anche in direzione della consapevolezza del loro valore storico-culturale dei luoghi di origine. Le vostre escursioni si spingono fino al Santuario di Maria Santissima al Taburno, sul versante di Bucciano?

Certamente. Oltre al Santuario, meta sempre più frequente di escursioni, ci sono molte grotte naturali, alcune poche conosciute, di notevole pregio geologico. Anche se per anni è stato dimenticato, il Santuario oggi è molto attrattivo, tanto da diventare meta di escursioni dedicate; stiamo attenti, però, a non portare una massa eccessiva di visitatori

Avete scelto di preservare l’equilibrio tra Natura, interesse storico e turismo?

L’Associazione Escursionistica Taburno trekking non mira a speculazioni. Coltiva la passione per il territorio senza clamori, condizionamenti, interessi o finanziamenti, coprendo le spese gestionali con le sole quote associative

Quali sono secondo lei i punti di debolezza di questo versante del monte Taburno?

Occorrerebbe creare i presupposti per attirare un turismo organizzato e regolato, perchè abbiamo cose bellissime che non riusciamo a valorizzare. Oggi non esiste un pacchetto turistico che attiri le persone facendole permanere sul territorio. Pensi che al Museo Archeologico Nazionale del Sannio Caudino abbiamo il vaso pià bello del mondo, ‘Il Ratto di Europa’ di Assteas, che la domenica i visitatori vanno ad ammirare per scattare un selfie, andado subito via. Non c’è un’offerta turistica completa che li trattenga, non ci sono strutture di accoglienza

Secondo lei sarebbe proponibile una sinergia tra le località che sorgono nelle vicinanze, come Benevento o Sant’Agata de Goti, più attrezzate nell’ospitalità?

Sarebbe indispensabile. A questo proposito le anticipo che stiamo crando un coordinamento di varie associazioni della Valle Caudina, per rafforzare l’idea di una ‘Città Caudina’ che raggruppi tutti i paesi dell’area, anche se facenti parte di varie province. Ciò per creare i presupposti di un obbiettivo comune che consiste nel dar vita a un’offerta turistica, come richiesto dall’ Ente Regione Campania, disponibile ad erogare i fondi a disposizione

L’Associazione fa anche escursioni nei vigneti del Taburno?

Non passiamo nei vigneti, riteniamo sia una cosa un pò delicata. Percorriamo però sentieri desueti che li circondano, utilizzati dai nostri antenati per andare in montagna a raccogliere la legna o coltivare legumi e pomodori. Con tristezza oggi vediamo che molti appezzamenti di terreno pedemontani sono incolti, i frutti non vengono raccolti. Tempo fa furono realizzati le ‘murecine’ i muri a secco per delimitare i terrazzamenti da coltivare: oggi però sono abbandonati

Vedrebbe positivamente il ritorno di queste coltivazioni sul Taburno?

Certo, e qualcuno ci ha già pensato. In zona Piano Canale a ridosso di Acquasanta, località Tocco Caudio, tempo fa si è cominciato a lavorare un pezzetto di terreno che oggi è grande e recintato, coltivato a pomodori e patate. Sono prodotti molto graditi ai consumatori, di cui non si potrà mai fare a meno. Spero che prima o poi i giovani si rendano conto che ritornare a coltivare i prodotti della terra rivendendoli, come avviene nelle cooperative Emiliane, può esser vantaggioso

Un richiamo all’agricoltura sul Monte Taburno che ci porta all’ iscrizione nel Registro Nazionale del Paesaggio Rurale della ‘Vite a raggiera’ del Taburno, proposta dall’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR e recentemente approvata. La consuetudine di disporre i vitigni ‘a raggiera’, cioè facendo capo a un ‘albero tutore’ centrale da cui si dipartono filari lunghi circa 30 metri, risale all’epoca romana. Dopo la conquista delle terre sannite, la necessità di sfruttare il territorio delle colonie per produrre grano, olio e vino, ma anche frutta e ortaggi per gli abitanti della Capitale, spinse ad escogitare questo metodo. Sopravvissuto fino agli anni Settanta del Novecento in vari punti del Sannio e dell’Irpinia, dove è ancora molto diffuso. La tutela storica delle Viti a raggiera ha un significato meno importante per la produzione vinicola: l’Aglianico, infatti, raggiunge una qualità superiore con il sistema a spalliera che consente alla linfa della pianta di salire. L’estensione in orizzontale della pianta indirizza diversamente la linfa, producendo uve di qualità inferiore. Ma le Viti a raggiera consentivano ai Romani una produzione agricola razionale e assolutamente sostenibile: utilizzando alberi dalle radici poco profonde (Gelsi, Meli o Prugni), come tutori e il suolo sottostante per coltivare ortaggi e dei legumi. La cappa costituita da foglie e grappoli fungeva come meccanismo autoregolatore del clima e da scudo protettivo dagli agenti atmosferici, più violenti in montagna. In tempi moderni la produzione vinaria di qualità ha prevalso: le raggiere sono state quasi tutte eliminate, anche perché non si coltiva al di sotto, date anche le esigenze di concimazione che mortificano le Viti. La tradizione millenaria sopravvive però in contrada Pantanella nel territorio di Foglianise, a circa un chilometro dalla Cantina del Taburno. Qui esitono 4 appezzamenti di Marna argillosa calcarea coltivati ad Aglianico Amaro per una produzione di 20 quintali, come riporta un resoconto di ‘Italia a Tavola’. D’altra parte è noto che l’Aglianico e la Falanghina della Cantina del Taburno sfruttano in parte il sistema a spalliera e in parte a raggiera. Il sogno di un Taburno da godere in tutte le sue forme si fa sempre più vicino!

ROSANNA BISCARDI