Le Chiese riaprono ma quanti condizionamenti! Chiesa Cattolica

La Germania lo ha fatto con otto giorni d’anticipo. L’Italia da lunedì 18 maggio riapre le chiese alle celebrazioni liturgiche con il popolo e lo fa dopo che la Conferenza episcopale italiana s’è visto esaminato e approvato dal Comitato tecnico scientifico il testo del protocollo da essa predisposto. Tra i punti concernenti le necessarie misure di sicurezza cui ottemperare, nel rispetto della normativa e delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, per la ripresa delle funzioni religiose, ce ne sono alcuni che non si capisce perché abbiano subito deroghe da parte di qualche diocesi e di conseguenza dalle parrocchie. Altri punti, anche se raccomandati dal Comitato tecnico scientifico (Cts), suscitano più d’un interrogativo.

Nei luoghi di culto chiusi, il Cts raccomanda che il numero massimo di persone non superi le 200 unità in relazione però agli “eventuali sistemi di aerazione disponibili”, mentre per le cerimonie religiose all’aperto la partecipazione massima consentita è di mille persone. Rispettando sempre la distanza minima di “almeno” un metro laterale e frontale. Quell’almeno è divenuto una costante fissa, un po’ sulla specie dell’una tantum che nelle interpretazioni divenne “una volta ogni tanto” e non “una volta e basta”. La distanza di sicurezza, accoppiata con le mascherine, è uno dei requisiti fondamentali per il contrasto all’infezione da Covid-19. Il virologo Guido Silvestri, professore all’Emory University di Atlanta e dal 2013 editore del Journal of Virology, la più antica e citata rivista di virologia al mondo, ritiene, e con lui molti del mondo scientifico, che la distanza minima di sicurezza debba essere non meno di 2-2,5 metri. D’altra parte, il nostro mastodontico Comitato tecnico scientifico ha dato in più di un’occasione prova di essere contraddittorio: mascherine all’inizio solo per i positivi o per chi era vicino ai malati; il 4 marzo tecnici contrari alla chiusura delle scuole mentre il governo prima preannunciava, poi smentiva, poi confermava che avrebbe chiuso.

Il protocollo d’intesa tra Cei e governo parla di accesso contingentato e dove la partecipazione dei fedeli superi la capienza massima consentita, prendere in considerazione l’ipotesi di incrementare il numero delle celebrazioni liturgiche. Ma su questo punto, la Conferenza episcopale campana, presieduta dal cardinale Crescenzio Sepe, ha detto un no deciso a una “proliferazione” del numero delle celebrazioni “sia per ragioni di natura liturgica, sia per evitare una sorta di ‘meccanicizzazione’, sia per oggettive difficoltà pratiche (igienizzazione dopo ogni messa e un tempo per l’aerazione degli ambienti)”. E, sempre il documento dei vescovi campani, pur prendendo in considerazione la possibilità di collegamenti via streaming con l’aula liturgica, ne chiede un uso limitato “per non disperdere ulteriormente la partecipazione comunitaria, standoci a cuore il senso della comunità, reale e non virtuale”.

In apertura si è parlato della Germania, che regola l’accesso su prenotazione. Da noi non s’è capito cosa accadrà a chi giunga in chiesa una volta raggiunto il numero massimo. L’accesso è obbligatorio con l’uso della mascherina, ma il protocollo non parla di recarsi in chiesa con “salviette igienizzanti” (che possono usarsi per pulire la panca dalla polvere, come ai giardinetti, non certo per contrastare il Coronavirus) né di portare igienizzante per le mani a uso personale (il punto 1.9 del protocollo Cei-governo dice: «Agli ingressi dei luoghi di culto siano resi disponibili liquidi igienizzanti») né di portare guanti monouso (questi ultimi, come al punto 3.4 del protocollo, d’obbligo sì, ma per celebranti ed eventuale ministro straordinario).

Il filosofo e scrittore inglese James Harrington già fece notare nel 1600 che “il picciolo numero delle leggi fa nascere la necessità dell’arbitrio nella loro applicazione e la moltiplicità ne suppone altrettante per conciliarle, quante se ne richieggono per applicarle”.

GIANCARLO SCARAMUZZO

giancarloscaramuzzo@libero.it