Unione Europea e Big Tech Economia

Sono passati già quattro anni da quando per la prima volta Ursula Von der Leyen, nella sua candidatura a Presidente della Commissione Europea nel 2019, propose il nuovo “Digital Service Act”. Promulgato circa un anno fa, ottobre 2022, il regolamento entrerà in vigore a febbraio 2024. Credo sia necessario fare un focus e capire la grande rilevanza internazionale del DSA, anche in prospettiva delle prossime elezioni dell’europarlamento, per comprendere il ruolo che ha giocato l’Europa come soggetto politico negli ultimi anni e quello che il mondo occidentale si aspetta da Bruxelles in futuro.

La rivoluzione dei social media ha avuto una rilevanza culturale tale da ridisegnare nuovi paradigmi politici ed economici. Non si tratta solo di una rivoluzione nel mondo dei media, ma è profondamente rimesso in discussione il concetto di media stesso: tutto diventa informazione, codice, dato; si entra nella cosiddetta “economia dell’informazione”.

Il ruolo del mondo della politica nella gestione di questi cambiamenti epocali è stato marginale quanto nullo. Si conoscevano già da tempo (fine anni ‘90, inizio anni 2000) i rischi sul piano economico e sociale di una rivoluzione digitale come quella che oggi viviamo, ma a mancare alla politica sono gli strumenti. Non esistevano (tutt’ora non esistono) leggi anti-trust in grado di far fronte all’ascesa dei monopoli digitali negli ultimi dieci anni (Google, Amazon, Meta), ascesa che si deve appunto a un cambio radicale nel contesto economico. Non esistevano strumenti per combattere fenomeni legati alla disinformazione online, ne tantomeno ad atti di cyber-bullismo o in generale a contenuti illegali. Non c’era nemmeno la consapevolezza del rapporto tra social media e disturbi mentali, che è iniziata ad essere dibattuta dopo l’inchiesta Facebook Files del Wall Street Journal nel 2021.

A distanza di alcuni anni la consapevolezza su queste tematiche è cresciuta, l’approccio culturale ai social media sta iniziando a cambiare profondamente: si inizia a pretendere che la politica riconquisti l’enorme vuoto normativo “liberista” lasciato alle big tech negli anni 2000. In America se n’è parlato tanto nell’amministrazione Biden, i tentativi di istituire cambiamenti radicali al sistema di leggi anti-trust per le big tech sono stati tanti ma non hanno rispettato le promesse iniziali (per motivi complessi intrinseci al sistema economico e culturale USA). In Europa qualcosa si è mosso: il dibattutissimo DSA.

Il nuovo regolamento, lontano dall’essere una rivoluzione del sistema anti-trust, riesce comunque ad essere, perlomeno su carta, incisivo e coraggioso: dalle sanzioni che possono arrivare fino al 6% degli incassi annui (si parla di miliardi di dollari) al pagamento di una fee dello 0,05% degli incassi annui per finanziare gli strumenti di controllo della Commissione Europea. Le aziende interessate sono 19 (denominate VLOPs, che sta per Very Large Online Platform, ovvero piattaforme online di grandi dimensioni) e vanno dalle piattaforme social (tutte da Instagram a Linkedin, da Snapchat a Twitter/X) ai markerplace (Amazon, Booking, Zalando, Google Shopping…) ma anche al motore di ricerca di Google e a Wikipedia.

Suddividiamo in 5 punti una breve analisi di cosa verrà regolamentato.

1. Rimozione di contenuti illegali: l’azione dovrà essere “tempestiva” da parte delle piattaforme e diventerà più chiaro il meccanismo che consente agli individui, così come alle autorità nazionali, di segnalare possibili comportamenti illegali. Verranno anche intensificati i controlli necessari per le piattaforme di shopping online riguardo merce illegale, dalla falsificazione dei brand alla messa in commercio di giocattoli pericolosi.

2. Disinformazione e contenuti potenzialmente pericolosi: questo punto è cruciale e molto invidiato oltreoceano (basta pensare all’invasione di Capitol Hill e gli ultimi scandali di Fox News per immaginare quanto). La questione è molto sensibile: le piattaforme online (e i motori di ricerca) dovranno presentare alla Commissione Europea un report annuale estremamente dettagliato sui cosiddetti “rischi sistemici” per i cittadini europei. Si fa riferimento a come contenuti sponsorizzati dagli algoritmi possano contribuire alla diffusione di contenuti illegali o campagne di disinformazione (si tratta anche di spionaggio: sono noti i casi di tentativi di campagne di disinformazione promulgate dal governo russo negli ultimi anni, in America ma anche in alcune nazioni europee tra le quali l’Italia). Nel report bisognerà anche proporre misure per limitare i rischi identificati, come agire sull’algoritmo, implementare strumenti di parental control o etichettare contenuti generati dall’intelligenza artificiale.

3. Dare più potere agli utenti: anche questo punto è politicamente cruciale. Si tratta di garantire una migliore comunicazione tra piattaforma e utenti e una maggiore trasparenza: l’obbligo di avvisare in modo immediato se la piattaforma dovrà rimuovere un contenuto dell’utente, dovrà bloccarne la monetizzazione o semplicemente limitarne la visibilità (il caso dei giornalisti bannati da Elon Musk nella sua X è emblematico di quanto sia necessaria più diligenza e trasparenza). Inoltre sarà obbligatorio proporre un algoritmo alternativo a quello standard che non usa dati personali.

4. Ban di alcune pubblicità sponsorizzate: saranno bloccate alcune ad che l’algoritmo propone in base a dati sensibili come religione, preferenze sessuali, stato di salute o credenze politiche. Inoltre non sarà possibile raccogliere dati personali su minori per proporre pubblicità sponsorizzate.

5. Piena trasparenza: ogni sei mesi le piattaforme dovranno fornire informazioni dettagliate riguardo la moderazione dei contenuti, compresi i dettagli sul personale che se ne occupa come dimensioni, competenze e lingue europee parlate. Inoltre dovranno comunicare le modalità d’uso dell’intelligenza artificiale per la rimozione di contenuti illegali e la percentuale di errore associata.

Aspetteremo febbraio per capire se il promettente DSA riuscirà nei suoi intenti di normare quello che è ancora oggi un po’ un far-west digitale (molti accademici parlano anche di Feudalesimo digitale, termine che descrive in modo lucido e immediato l’effettiva situazione politica delle big-tech oggi). Rimane il monito di Fred Turner, professore presso il Dipartimento di Comunicazione presso la Stanford University ed ex presidente del dipartimento: “La visione politica che ha creato i social media in primo luogo diffida della proprietà pubblica e del processo politico mentre celebra l’ingegneria come un’alternativa al governo”.

La sfida rimane aperta ma qualche piccolo passo, meno timido di quanto ci si aspettasse, è stato compiuto.

ANTONIO SPINA