Arruffapopolo di beni comuni In primo piano

Si può legittimamente sostenere che la politica tende a realizzare il bene comune, ma non sia mai detto che ogni “bene comune” debba essere amministrato dalla politica. L'equivoco rischia di diventare realtà accettata supinamente, se a Napoli è “pontificata” dal fascino irresistibile del sindaco De Magistris o se a Benevento viene propalata dall'altrettanto (se non più) fascinoso padre Alex Zanotelli. Ciò che unisce il diavolo e l'acqua santa è la scorciatoia logica e storica che ha prodotto i più grandi disastri umani (e le conseguenti incalcolabili ingiustizie) secondo la quale gli individui devono chiedere il permesso di esistere ad uno stato onnipotente, che espropria i diritti individuali, li mette nel pentolone della ideologia (illuminata da un sol dell'avvenire) e li fa diventare generose elargizioni discrezionali se non capricciose.

Le follie del Novecento nulla hanno insegnato agli arruffapopolo. Anzi i fallimenti di tutti i comunismi (anche le infelicità sudamericane dei nostri giorni altro non sono) intontiscono le menti fino a farne discendere una paradossale profezia: che la soluzione dei mali dell'umanità consista proprio nella eliminazione della soggettività individuale e nel perfezionamento del moloch statale. L'Italia è un esempio facile da capire: non per niente Cossiga diceva essere l'ultimo paese del comunismo reale. Qui da noi si tengono per mano ideologie corporative di stampo fascista con ideologie socialiste di stampo comunista, cucinate sapientemente in salsa consociativa.

Aveva cittadinanza (e libertà di parola) una opinione di matrice cattolica, altrimenti detta dottrina sociale della Chiesa. Mai stata indulgente col liberalesimo, tuttavia abbastanza chiara contro il pericolo della sopraffazione dello stato. Dubito che ce ne siano cultori. Anche nel mondo cattolico, infatti, fanno notizia personaggi come padre Zanotelli la cui notorietà applaudita senza sconti consacra facilmente come verità tutto ciò che esce dalla sua bocca.

L'ultima qui in suolo sannita ha riguardato l'acqua. Niente privati, né a scavare sorgenti né a vendere bottiglie o fiaschi. Solo la mano pubblica deve sentirsi legittimata a gestire i beni essenziali (chiamati per derivazioni linguistiche beni comuni). Essendo la “mano pubblica” una figura retorica incarnata dal soffio creativo della politica, ne discende che solo i partiti politici hanno il diritto di trattare la materia dei beni comuni. Noi sappiamo purtroppo come funziona la vita dei partiti politici e quale può essere, a seconda delle stagioni, la qualità di certi apparati destinati ad interessarsi di beni comuni: non solo l'acqua, ma l'aria, ma il sottosuolo, ma la salute, ma la scuola, ma l'alimentazione, ma vita e non vita, aborto e morte...

Sappiamo per certo che tutto ciò che è gestito con le regole della politica costa molto di più di quanto riesca a fare una “interessata” gestione privata. Ma qui sta il punto. Il privato non fa niente per il piacere di fare un piacere al bene comune. Anche dell'acqua (bene primario) sarebbe capace di fare strumento diabolico per arricchimento personale. E questo è un peccato che griderebbe vendetta davanti a qualsiasi dio, anche e soprattutto se si potesse verificare che il diavolo gli fa riuscire il miracolo di far pagare meno al cliente-cittadino.

Ciò che interessa non è che l'utente possa ottenere un bene a un prezzo sostenibile. No. L'individuo deve sapere che ciò che gli arriva in tavola è frutto sapiente della dea politica.

Così si istruisce il pupo. Ma così non si lascia crescere l'essere umano, con la sua libertà e la conseguente responsabilità. Qui sta il punto, caro padre Zanotelli e caro don Cosimo Cavalluzzo. Solo chi è libero è responsabile. Chi è suddito la libertà non sa cos'è. E, nel marchingegno, anche la rotella politica potrà sempre dire che gira da sola e nessuno sa chi l'ha messa in moto.

Tanto per chiudere: lo stato, e per esso i partiti e le associazioni politiche, possono fare leggi e regolamenti per limitare l'iniziativa privata, ma non possono sopprimere e avocare a sé i diritti fondamentali della persona. Ciò sia a propositi dei “facili” beni comuni (acqua, aria e fiori di campo), ma anche a proposito di cose più delicate lasciate inopinatamente in mano alla politica da una “gente” che ha perso l'abitudine a considerarsi “moltitudine di individui”. E' l'individuo che fa la società, non viceversa.

MARIO PEDICINI