Buonaguro: ''Studiare medicina, per chi ne ha l'attitudine, è il massimo che si possa desiderare'' In primo piano

Protagonista dell’intervista è il dott. Luigi Buonaguro – Direttore dell’UOC “ Modelli immunologici innovativi” presso l’Istituto Nazionale Tumori “ Fondazione G. Pascale” di Napoli. Lo ringraziamo per aver accettato di rispondere alle nostre domande e insieme a tutta la città ribadiamo la nostra immensa stima per il successo professionale raggiunto che riempie tutti noi, sanniti e beneventani, di immenso orgoglio.

Dott. Buonaguro ma lei sin da piccolo pensava di fare il medico?

Da bambino sognavo di diventare un medico, in particolare un pediatra. Poi la mia scelta di fare ricerca mi ha allontanato dall’idea iniziale, ma questo mi permette di lavorare al servizio della scienza e a supporto delle persone ammalate in genere, non solo i bambini.

La strada intrapresa ha comportato molte rinunce in termini di vita personale, tempo libero e sport?

L’impegno costante nello studio prima e nel lavoro dopo hanno tolto tempo ad altre attività. Ma non posso definirle come rinunce. Ho solo assecondato il mio interesse principale e questo è molto gratificante.

Stiamo assistendo in Italia ad una richiesta sempre più massiccia di professionalità mediche, auspicando nell’arresto della fuga dei cervelli. Approfondendo il suo curriculum abbiamo appreso che anche lei ha studiato e lavorato molto all’estero. Ci racconta della sua esperienza?

Ho avuto la fortuna di poter trascorrere molto tempo all’estero. Da studente di medicina, per ben tre estati consecutive, ho seguito i corsi estivi in uno degli Istituti Americani più importanti per lo studio della leucemia, il Fred Hutchinson Cancer Center negli Stati Uniti, in particolare a Seattle. Poi, subito dopo la laurea, è seguito l’impegno di altri tre anni a Bethesda, nel Maryland, ai National Institutes of Health, il più grande campus di ricerca pubblica negli Stati Uniti. Ero nel laboratorio diretto dal Dr. Robert Gallo, co-scopritore del virus dell’HIV. È stata un’esperienza meravigliosa. Per un ragazzo di 24 anni, ritrovarsi in un ambiente scientifico di primissimo livello, in una “capitale del mondo”( Washington è a 30 minuti di auto) e lavorare ad un progetto sull’HIV, che in quel momento era l’argomento di ricerca con assoluta priorità per l’umanità è stato, a dir poco, galvanizzante. Ricordo che non è comunque stato facile ritrovarsi solo dall’altra parte dell’Oceano senza i mezzi tecnologici odierni per comunicare e più volte la nostalgia di casa si è fatta sentire. Ma ho resistito con successo. Da adulto sono tornato ancora a Baltimora, dove ricopro l’incarico di Professore Associato Aggiunto alla Facoltà di Medicina dell’Università del Maryland. Inoltre, ho avuto il privilegio di partecipare a più di una missione scientifica e di insegnamento in Uganda, sotto l’egida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, per dar vita a uno straordinario progetto finalizzato all’istituzione di una Facoltà di Medicina nel nord del Paese il cui ideatore è il Prof. Luigi Greco dell’Università Federico II di Napoli. Tutto questo vissuto che si è arricchito giorno dopo giorno, con fatica e soddisfazione, ha disegnato l’uomo e il professionista che sono oggi, fiero dei risultati raggiunti. Tutto questo è stato possibile grazie al confronto con il mondo che regala “ ricchezza e visione” e garantisce ed equilibria.

Abbiamo ascoltato qualcuna delle sue più recenti interviste televisive sul tema dei vaccini antitumorali come l’HEPAVAC. Ci racconta della sua attività di ricerca e del Consorzio Europeo nato per sua iniziativa che oggi consente questo tipo di sperimentazione?

Il progetto HEPAVAC è stato finanziato dalla Comunità Europea con l’obiettivo di sviluppare un vaccino terapeutico per il tumore del fegato. Quindi, questo vaccino non è somministrato preventivamente in soggetti sani (prima che la malattia si sia manifestata), ma in pazienti ammalati , per potenziare la risposta immunitaria antitumorale. Infatti, il sistema immunitario ha bisogno di essere stimolato da una grande quantità di antigeni per reagire in maniera ottimale contro il tumore. Ho coordinato un Consorzio di 9 Istituti Europei ed abbiamo raggiunto l’obiettivo identificando le molecole (antigeni) che sono specificamente espresse sulla superficie delle cellule tumorali del fegato. Abbiamo quindi sviluppato una mix di 16 antigeni che costituiscono il nostro vaccino con cui stimolare il sistema immunitario a reagire contro il tumore del fegato. Abbiamo ottenuto l’autorizzazione delle Agenzie regolatorie di 5 Paesi Europei (in Italia l’AIFA) per condurre una sperimentazione clinica di fase I in pazienti affetti da HCC, con lo scopo di valutare la sicurezza (assenza di effetti collaterali) e la risposta immunitarie indotta. I risultati della sperimentazione clinica sono stati soddisfacenti. Ora stiamo conducendo una seconda sperimentazione per potenziare la risposta immunologica indotta. Speriamo di poter portare la sperimentazione alle fasi successive e, in ultima analisi, all’ autorizzazione per l’uso clinico. Sarebbe il primo vaccino terapeutico per il tumore del fegato. Un sogno.

Se dovesse dare un consiglio orientativo professionale alle giovani generazioni le incoraggerebbe a studiare medicina?

Penso che studiare medicina, per chi ne ha l’attitudine e la passione, è il massimo che si possa desiderare. Fare ricerca per trovare nuovi rimedi di prevenzione o di terapia che permetta alla gente di avere una migliore qualità di vita è una delle ambizioni più alte che si possano avere. Il percorso di studi è complicato e lungo ma il ritorno in termini di soddisfazione è impagabile. C’è da dire che oggi viviamo nell’epoca della complessità nella quale tutte le professioni, compresa quella del medico, non sono esenti da criticità.

Pensa che l’esperienza della Pandemia di SARS CoV – 19 ci abbia insegnato qualcosa in termini di comportamento e prevenzione?

La pandemia è stato un momento traumatico al quale non eravamo preparati. Tutti erano convinti che ormai la medicina potesse curare qualunque malattia infettiva. Si è generata così una diversificazione nel comportamento delle persone. Da questo trauma si è usciti in due modi diametralmente opposti. C’è chi ha affrontato la situazione con grande serietà e quindi continua ancora oggi (e forse continuerà per tutta la vita) a adottare comportamenti di cautela e chi, invece, vuole “dimenticare” ed è tornato, senza esitazione, alle attitudini di vita precedenti. Bisognerebbe, come al solito, cercare un equilibrio senza essere “fobici” o “spregiudicati”.

Spostandoci dal campo medico a quello artistico vorremmo che accennasse alla sua passione per la musica, perché sappiamo che ha scritto e interpretato numerosi brani per il “ Canzoniere della Ritta e della Manca”, gruppo di musica popolare sannita ancora attivo.

La musica è stata ed è la mia passione coltivata nel tempo in modi diversi con lo studio del pianoforte classico, cantando in un coro polifonico ed esibendomi in vari gruppi beneventani di musica popolare. Ancora oggi reputo veri amici soprattutto quelli legati a queste mie esperienze musicali. Con il Canzoniere abbiamo raggiunto anche un successo di critica nazionale che ci ha sicuramente gratificati. Seguo il gruppo che continua la sua attività con successo, ma non ho più la possibilità di esibirmi con loro dal vivo. La passione per la musica è sempre lì, intatta, e la coltivo tutt’oggi in privato.

Sappiamo che lei, nonostante lavori ormai da molto tempo a Napoli ha casa in città, nel cuore del centro storico. Supponiamo che continui ad amare Benevento.

Per anni ho continuato a vivere a Benevento e viaggiare tutti i giorni per Napoli. Ora non più. La “seguo” da lontano, perché le radici non si possono recidere, neanche se lo si volesse. Tutti noi siamo quello da cui veniamo. Disconoscerlo sarebbe una stoltezza.

GIUSEPPE IMPERLINO