Cresce il numero dei poveri In primo piano

Con don Nicola De Blasio, direttore della Caritas della Diocesi di Benevento, dovevamo parlare di poveri, di persone bisognose di aiuto, di sostegno alle famiglie in difficoltà. Inevitabilmente, il discorso si è poi spostato anche su un altro fenomeno in forte espansione non solo in città: l’usura. «Benevento è sempre stata la città dell'usura. È un fenomeno che ormai si estende su tre livelli: quella diciamo della massaia, ovvero la signora che chiede un aiuto al vicino di casa, che presta 100 e ne prende 120; poi abbiamo quella della piccola bottega, del professionista o della persona che vive un’improvvisa necessità (la più subdola, che non viene mai denunciata); e poi c'è quella legata alla criminalità organizzata, che non ha tanto l'esigenza di prendere soldi bensì quella di prendere il reale controllo di un'attività commerciale o imprenditoriale, facendo in modo che il proprietario diventi un prestanome, per poi riciclare denaro proveniente da attività illecite in attività legali. È un sistema difficile da scardinare, perché c’è addirittura chi quasi protegge la persona che fa usura in quanto dice: Quello non ti ha mica cercato, sei stato tu ad andare da lui.

Ci spiega cosa fa la Caritas nel tempo della crisi?

«Abbiamo in essere diverse attività; quella storica, è la mensa per le persone indigenti. È poi sorto il Market solidale che, con il paniere alimentare dell’Istat, sostiene più di 400 famiglie al mese. Tutte persone selezionate da enti territoriali, Comune e Provincia, i quali hanno determinato la soglia di povertà attraverso una graduatoria».

In pratica, che tipo di aiuto ricevono queste persone?

«Una spesa alimentare di un mese, che contiene tutti i prodotti per una giusta nutrizione: pane, latte, frutta, pasta, olio, latte in polvere, pannolini, detergenti. Abbiamo voluto evitare la logica del pacco in quanto, coloro che vengono al market, è come se andassero al supermercato: con il carrello girano tra gli scaffali e poi pagano alla cassa con la card, come se pagassero con la carta di credito. In questo modo pensiamo che nessuno possa sentirsi leso nella propria dignità».

Quante persone invece, quotidianamente, vengono in mensa da voi?

«Sedute ai tavoli, in genere sono 35 persone. Ma poi portiamo i pasti ad anziani, a portatori di handicap o a persone agli arresti domiciliari. Ci sono anche quelli».

C’è anche chi ne approfitta?

«La mensa della Caritas è aperta a chiunque viene. Io non chiedo né reddito né carta d’identità. Poi dipende dalla coscienza della persona»..

Quali altre iniziative concrete avete in essere per aiutare i bisognosi?

«Una importante è quella del micro credito, rivolta a giovani che si costituiscono in cooperativa: il Progetto Policoro, realizzato in partnership con Banca Lavoro e Piccolo Risparmio, Comune e Provincia. E poi abbiamo il micro credito con il prestito della speranza, uno strumento di cui hanno usufruito persone in cassa integrazione. Ma essendo questo aiuto legato comunque a parametri diciamo bancari, non tutti quelli che hanno fatto domanda, purtroppo, sono riusciti ad ottenerlo».

So anche di iniziative all’interno del carcere di Benevento…

«Abbiamo un bel progetto, finanziato interamente dalla CEI con l’8 per mille, che permette di dare delle borse lavoro a detenuti in regime di semilibertà, grazie ai cosiddetti orti sociali. Così come pure per i tossicodipendenti, con una struttura inaugurata l’anno scorso per il ricovero permanente, a contrada La Francesca, con l'associazione Vivere dentro».

Che tipo di aiuto vi chiedono i detenuti?

«Non tutti sanno che l'amministrazione passa ai detenuti solo i generi di prima necessità, mentre tutte le altre cose, se le vogliono, le devono comprare. Ecco perché abbiamo il centro di ascolto permanente. Le richieste sono tante: della lametta per la barba, allo straccio per pulire per terra... dicono che non ci sono soldi, per cui, se vogliono tenere pulita la cella, devono comprare l'occorrente. Ma la cosa bella che sta succedendo al carcere di Benevento è che da noi si rivolgono in maniera speciale i terroristi islamici lì rinchiusi: quando arrivano i loro familiari, prevalentemente dal nord Italia, li accogliamo nella nostra struttura Casa Betania, dove li ospitiamo gratuitamente per uno o due giorni».

Eppure gli islamici in prevalenza considerano i cristiani loro “nemici”…

«Proprio oggi, domenica 29 aprile, hanno assaltato due chiese cristiane: una in Kenya e una di nuovo in Nigeria. Ma la religione non può mai essere lo strumento per una guerra! Noi proviamo a far capire loro che il nemico, sia dell'Islam che del Cristianesimo, non è l'uomo, non è l'altro diverso di altra religione: il nemico è da ricercare nel Male; è da ricercare nell’ingiustizia sociale, nella privazione dei diritti umani. Purtroppo, ai ragazzi islamici, come ai crociati di un tempo, gli hanno fatto il lavaggio del cervelli da bambini, nelle scuole islamiche, insegnano loro che tutto il male viene dall'Occidente, raffigurato dalla croce, quindi dal Cristianesimo. Ecco perché distruggere, uccidere chi si professa cristiano, per loro significa far valere l'islam. Ma l'islam è la religione della pace: la parola islam significa appunto pace. Come disse Giovanni Paolo II, noi dobbiamo cercare ciò che ci unisce e non ciò che ci divide. E ti posso assicurare che almeno qui, questi ragazzi (sono circa 50, rinchiusi in un padiglione a parte) apprezzano tantissimo l'opera che noi stiamo facendo, perché andiamo lì come fratelli, facendo prevalere l'umanità che ci rende tutti uguali».

GIUSEPPE CHIUSOLO 

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