Curare i boschi: ce lo chiedono il clima, il territorio e le future generazioni In primo piano

La conferenza mondiale sul clima, la COP 28 in corso a Dubai, ci sollecita ancora una volta a ridurre le fonti e le cause dell’inquinamento atmosferico, ma anche ad aumentare le fonti e le cause della tutela ambientale e della tenuta del territorio.

Sia per il clima che per il territorio, in ogni parte del pianeta, alle aree geografiche di collina e di montagna, come il Sannio, è affidato un primario ruolo di tutela e stabilità. Quindi le zone interne, più che essere assistite debbono essere compensate e risarcite anche con organici programmi e politiche territoriali, volti allo sviluppo ed alla gestione del patrimonio idrogeologico e forestale.

Su questi specifici argomenti di cura e gestione del patrimonio boschivo, nello scorso mese di novembre, siamo stati interessati da diversi titoli di giornali nazionali e locali. Vorrei cominciare dall’articolo apparso su Il Mattino, dedicato al progetto del Comune di Benevento, il quale, aderendo all’ iniziativa di Rete Clima, dal titolo “Forestiamo l’Italia”, si propone di piantumare duemila alberi nel neo Parco De Mita della città.

Per convincerci che non si tratta di un progetto insignificante andiamo a leggerci alcuni dati riportati dal Corriere della Sera del 14 novembre u.s., dove si afferma che “ci vogliono alberi nelle città”, le quali in media dispongono soltanto di 24 piante ogni cento abitanti; ed addirittura vi sono città con soli dieci alberi ogni cento abitanti. Benevento, con quei nuovi duemila alberi, farà un significativo passo in avanti.

Tuttavia il problema non è solo quello di aumentare il verde nelle aree urbane, ma anche, ed innanzitutto, di ripopolare e curare il patrimonio boschivo di tutto il territorio collinare e montano, e non solo per un fatto estetico e paesaggistico, ma soprattutto per far fronte ai dissesti idrogeologici ed alle carenze pedoclimatiche. A tal fine nella COP 26 del 2021, a Glasgow, ci si impegnò a piantare mille miliardi di alberi entro il 2050 in tutto il mondo.

Sempre sul Corriere della Sera un altro interessante articolo è stato quello del 16 novembre, con il titolo “Ci salveranno le piante”, in cui si parla del libro di Stefano Mancuso “Fitopolis”, che afferma: “dagli alberi deriva molto di ciò che ci rende umani”. La nostra umanità dipende anche dagli alberi…

Possiamo convenire che è di primaria importanza piantare alberi e curare i boschi, però dobbiamo anche chiederci come si fa, e chi lo fa, questo lavoro di impianto e gestione dei boschi. E quelli che lo fanno come vengono trattati e compensati? Una risposta la troviamo nella cronaca locale de Il Mattino del 23 novembre u.s., (“Operai forestali… la pazienza è finita, vanno stabilizzati…”).

In quell’articolo si denuncia una nuova precarietà e quindi la mancata stabilizzazione di tanti operai forestali, ancora stagionali: 3500 lavoratori in tutta la Campania, di cui 450 nel Sannio (vi si potrebbero occupare almeno il doppio). Sono tutti precari e malpagati, sebbene siano addetti ad uno dei più essenziali lavori di pubblico interesse.

Scorrendo il mio archivio su questa materia, ho trovato un articolo da San Bartolomeo in Galdo, de Il Mattino del 20 settembre del 2022, che annunciava l’impegno dell’assessore regionale di “evitare ulteriori ritardi nei pagamenti dei salari”. Impegno mantenuto?

Passando ad un’altra regione e ad un altro settore, andiamo a vedere quale risposta ricevono gli operai industriali del siderurgico di Taranto: anch’essi attualmente in agitazione, però sono regolarmente inquadrati e puntualmente pagati. Lavorare in uno stabilimento siderurgico è indubbiamente importante, però secondo qualcuno non è altrettanto importante lavorare nei boschi.

In un mio articolo, pubblicato da Il Mattino un anno fa, intitolato “Il ruolo dei forestali a tutela del suolo”, invano richiamavo l’attenzione dell’Ente Regione su una denuncia del Sindacato di quei lavoratori, a causa della mancanza di precisi progetti e di adeguate disponibilità finanziarie. Cioè, sembra che il bilancio della Regione non stabilisca preventivamente adeguati finanziamenti, né un organico piano di interventi, nel settore idraulico-forestale.

Anziché andare avanti, siamo andati indietro, rispetto al passato, eppure i dissesti ed i danni geoclimatici sono in aumento. Forse in Campania sarebbe il caso di andarsi a leggere qualche pagina del passato per scrivere adeguatamente il libro che potranno consultare le future generazioni.

Difatti nel 1974 la Regione varò una specifica legge per un “Piano triennale di riforestazione e di bonifica montana”, con lo stanziamento preventivo di 30 miliardi di lire; oggi invece sembra che la Regione non sappia fare di più sebbene disponga di fondi europei che allora non c’ erano ancora.

Purtroppo non è facile convincersi che i lavori di carattere idrogeologico e forestale, che io chiamo “industria del territorio”, vanno fatti prevalentemente in collina e in montagna ma servono soprattutto all’agibilità del suolo ed alla stabilità del clima delle aree vallive. Questo vuol dire che la vita della fascia costiera ha bisogno della vitalità della dorsale appenninica.

ROBERTO COSTANZO