Genitori e figli attenti al PC... Un assassino si aggira su Internet! In primo piano

Jonathan Galindo. Se non conoscete questo nome, forse potete ritenervi fortunati. Ma poiché nella vita non si può fare affidamento soltanto sulla fortuna, è bene che sappiate di chi stiamo parlando. L’uomo col cappuccio, altro nome con cui è noto quest’individuo, è responsabile del suicidio di un bambino di 11 anni a Napoli, avvenuto lo scorso mese di settembre.

In realtà, Jonathan Galindo è uno pseudonimo, nessuno sa chi realmente si celi dietro questo nome. L’ipotesi più plausibile è che si tratti di più di una persona. Il problema è che Jonathan, chiunque sia in realtà, è l’autore di un pericolosissimo gioco virtuale che ha già coinvolto numerosi minori in tutto il paese.

Il modus operandi del criminale, o dei criminali che adoperano questo nick per colpire, ricorda il fenomeno del Blue whale, di cui parlai in un articolo in precedenza. L’uomo col cappuccio contatta i minori sfruttando tutti i social (Facebook, Instagram, Twitter e TikTok sono i suoi preferiti). Una volta ottenuta l’amicizia, il minore viene sfidato da Jonathan ad affrontare una serie di prove, via via più difficili e sempre più pericolose. Rifiutare una prova o fallirla comporta una severa punizione, che Jonathan provvederà ad infliggere di persona recandosi direttamente a casa del malcapitato. Quest’ultima affermazione non corrisponde affatto a verità, ma i minori coinvolti nelle sfide di Jonathan sono invece convinti di essere osservati di continuo e temono la punizione che riceveranno se non porteranno a termine la sfida.

L’uomo col cappuccio sta arrivando”, è il testo dell’ultimo messaggio che un bambino di 11 anni di Chiaia ha inviato a sua madre prima di gettarsi dal balcone della sua abitazione. La persona dietro il nick di Jonathan Galindo è riuscita a terrorizzare a tal punto il povero undicenne napoletano, da spingerlo a preferire la morte piuttosto che rimanere inerme ad aspettare la punizione che lo attendeva per aver fallito una sfida.

Se siete arrivati a leggere fino a questo punto, non occorre che vi spieghi perché siamo di fronte ad un fenomeno spaventoso. Jonathan Galindo, nelle immagini dei suoi profili sui social, è inquietante anche per un altro motivo: oltre ad indossare una felpa col cappuccio, ha il viso coperto da una maschera grottesca che raffigura Pippo, il noto personaggio disneyano, in una versione deformata e tendente al macabro.

A tal proposito, alcuni esperti di debunking (informatici che amano smascherare le bufale in rete) sono riusciti a risalire al creatore di questa maschera, che però si è dichiarato estraneo a tutta la vicenda. S. C., queste le iniziali dell’uomo, è un tecnico addetto agli effetti speciali che ha realizzato artigianalmente una maschera di Pippo e nel 2014 ha pubblicato in rete alcuni scatti che lo ritraevano indossando tale maschera.

La persona (o le persone) dietro Jonathan Galindo si sono dunque impossessati delle immagini di S. C. con la maschera di Pippo e le hanno sfruttate a sua insaputa per dare vita all’uomo col cappuccio. S. C. ha reso noto attraverso i suoi canali social che non ha nulla a che fare con l’utilizzo che è stato fatto delle sue foto e si è raccomandato che chiunque venga contattato da Jonathan Galindo segnali l’accaduto ad un adulto, che a sua volta provvederà ad informare le autorità competenti.

Purtroppo, approfittando del lockdown dei mesi passati e del fatto che praticamente tutti gli studenti d’Italia hanno dovuto trascorrere gran parte del loro tempo in rete, qualche mascalzone ha ideato questa malsana trovata. Jonathan Galindo non è che una versione aggiornata al 21° secolo degli sconosciuti da cui non bisogna accettare le caramelle; ma come ho già fatto notare, quello che era partito come un gioco, seppur malefico, ha già causato una vittima. È bene che i genitori, non lo ripeteremo mai troppe volte, s’interessino a ciò che fanno i figli quando dedicano del tempo ai social, quando restano a lungo incollati allo smartphone, perché personaggi come l’uomo col cappuccio sono l’ennesima riprova che è possibile non essere al sicuro nemmeno tra le mura di casa e che anche un genitore attento e premuroso può non accorgersi dell’incubo che sta vivendo suo figlio.

CARLO DELASSO