Giovanni Fuccio nel ricordo di Paola Caruso In primo piano

Ho appreso la notizia nel modo più banale: dalla televisione, seguendo il Tg3 della Campania, che ha annunciato “Lutto nel giornalismo beneventano, è morto Giovanni Fuccio, presidente dell’Assostampa Sannita”. Per un istante ho creduto di aver capito male, ma è bastato un controllo in rete per accertarmi che si trattava di un tragico fatto: il Direttore, come lo chiamavo, era morto.

Non ci sarà il suo giornale a raccontare storie a tanti cittadini e beneventani dispersi per il mondo, che mantenevano un legame con la città attraverso l’abbonamento col giornale.

Non ci saranno più telefonate per sapere se il pezzo che avevo scritto era piaciuto. Non ci saranno più i conviviali che radunavano la famiglia di Realtà Sannita nel clima festoso che egli amava.

Non ci saranno le Agende di Realtà Sannita, che con le loro copertine dai colori vivaci inauguravano l’anno nuovo da 26 anni a questa parte, con le loro belle raccolte di foto antiche di Benevento e della sua Provincia, di cui il Direttore era particolarmente orgoglioso.

Non ci sarà la premiazione del miglior giornalino scolastico, iniziativa che da diversi anni egli promuoveva per avvicinare i ragazzi al giornalismo. Non ci saranno le pubblicazioni di libri della sua casa editrice che conta diverse decine di titoli per tutti i settori: storia locale e generale, politica, saggistica, società e costume, folclore, romanzi, racconti, memorie, sport, addirittura grammatica.

Non ci saranno le pagine del suo quindicinale scritte dai giovani, che egli accoglieva, offrendo loro uno spazio libero per esprimere idee, dubbi, proposte.

Sono stata anch’io una giovane esordiente che Giovanni Fuccio aveva accolto una sera di settembre del 1988, trentatré anni fa, nella sua piccola redazione, quando ancora era al viale dei Rettori. Con grande affabilità mi chiedeva dei miei studi e delle mie aspirazioni. Mi propose subito di scrivere qualcosa per il giornale, iniziando un rapporto che si è interrotto solo con la sua morte. Quel primo articolo “Mano nella mano da duemila anni” comparve in prima pagina, segnando il mio esordio. Grazie a quella palestra continua di scrittura, ho imparato tanto.

Allora gli articoli si scrivevano con la macchina da scrivere e si portavano a mano in redazione. Era quello un luogo di incontro, scambi di idee. Ci si sedeva e si chiacchierava volentieri. Poi venne il periodo dei floppy disk e anche con quelli si andava e veniva dalla redazione. Poi il progresso tecnologico ha interrotto quel flusso di visite; la smaterializzazione ha semplificato il lavoro del giornalista e dell’editore, ma non ci si incontrava più, se non per evenienze particolari.

L’ultima volta fu nell’ottobre scorso, in piena pandemia, in una serata di pioggia torrenziale, un filmaker canadese voleva girare un documentario sul “malocchio” e chiedeva di intervistarmi. La sede dove si svolse la lunga intervista è la redazione attuale di Realtà Sannita, in via Piermarini (nella foto).

L’ultima volta che ho incontrato il Direttore è stato meno di un mese fa, a casa sua. Sono andata a prendere un po’ di copie di Realtà Sannita n. 7 del 16-30 aprile 2021, col mio ultimo articolo: “Un partigiano dimenticato: Vincenzo Caruso e la resistenza italiana in Grecia”, dedicato ai 100 anni dalla nascita di mio padre. Il Direttore aveva accolto con la sua solita affabilità quel testo, sapendo quanto fosse importante per la sottoscritta.

In mezzo a quel primo e a quest’ultimo articolo ci sono questi trentatré anni, in cui ho potuto scrivere su ogni argomento, senza nessun vincolo, che non fosse quello della verità di quanto affermato e del linguaggio non insolente. Agli inizi della collaborazione, il Direttore aveva dovuto tagliare certe mie lungaggini o attacchi più violenti, che non erano nelle sue corde di moderato e pacato mediatore. Ho imparato così a scrivere in modo sintetico, ma efficace e a fare critiche, senza esasperare i toni. Il Direttore ha creduto nelle mie capacità, sono divenuta giornalista pubblicista, ma la scrittura per il giornale, come una palestra, mi ha certo aiutato a realizzarmi nel mio lavoro di insegnante e anche di scrittrice di articoli e pubblicazioni scientifiche.

Giovanni Fuccio è stata la prima persona a cui ho donato la mia tesi di dottorato, quando è stata stampata dall’Accademia Pontaniana di Napoli e nella dedica che lo commosse, scrissi che gli ero grata per avermi dato per primo la possibilità di esprimermi. Era in cantiere una nuova edizione di un mio libro. Alcuni miei alunni hanno potuto vedere le loro firme su una pagina di stampa e forse, grazie a questa esperienza, qualcuno di loro intraprenderà la professione di giornalista, vedendola praticabile e concreta.

E nella nostra città povera di iniziative e di opportunità, un uomo come il Direttore faceva la differenza. Mi resta nel cuore il suo benevolo sorriso e la sua gentilezza e la sua cordiale disponibilità. Non avrei mai voluto scrivere queste parole.

PAOLA CARUSO