Il Sannio tra spopolamento, invecchiamento e vaghi interventi pubblici In primo piano

Nel Sannio, come in Irpinia e in Molise, ormai da un trentennio si vive un’atmosfera piuttosto incerta: i giovani vanno via, gli anziani aumentano, complessivamente i residenti si contraggono e le abitazioni si chiudono; ma questa ormai, dove più dove meno, è la tendenza di tutte le aree collinari e montane delle Alpi e dell’Appennino.

Sul piano socio-abitativo, nel 2022, rispetto all’anno precedente, anche nel Sannio la popolazione è scesa dell’uno per cento (circa 2700 abitanti in meno). Quello che è più incomprensibile è che nella città capoluogo vi sia stata una perdita di residenti di oltre l’uno per cento (700 persone su 56.700 del 2021) cioè più che nei paesi della provincia. Ma vi sono altri dati di non facile interpretazione, in quanto anche in provincia si verificano riduzioni non sempre corrispondenti alle palesi situazioni economiche locali. Sembra inspiegabile qualche dato, come quello di Sant’Agata dei Goti che perde in un anno 106 abitanti, mentre Arpaise ne guadagna otto. Così pure alcuni ben noti Comuni, come San Giorgio del Sannio, Guardia Sanframondi, Solopaca ed altri perdono residenti; mentre altri, più piccoli e meno noti, come Paupisi, San Martino Sannita, Santa Croce del Sannio, Sassinoro non perdono abitanti anzi ne aumentano.

Va detto comunque che nel Sannio, come lungo tutta la dorsale appenninica, lo spopolamento è costante - intorno all’uno per cento all’anno - ma quello che preoccupa è soprattutto il progressivo invecchiamento e la flessione delle nascite.

La maggior parte dei Comuni presenta un rapporto, tra cittadini ultrassessantenni e cittadini sottodiciottenni, di quasi due a uno. Gli anziani rappresentano più del 65% della popolazione, ma non si spiega l’opposto rapporto in alcuni Comuni, come Arpaia, Bucciano, Forchia, Paolisi, dove i giovani sono più numerosi degli anziani.

Dobbiamo pensare che saranno gli attuali interventi piuttosto vaghi in campo sociale come nelle infrastrutture, previsti per le aree interne, ad invertire quella tendenza di spopolamento ed invecchiamento? Basteranno le grandi infrastrutture di attraversamento, come la ferrovia Alta Capacità, le condotte per trasferire l’acqua dall’invaso sul Tammaro al piano campano ecc., o i vari progetti SNAI, ideati dall’ex-ministro Barca, a capovolgere la tendenza in atto?

I giovani non andranno via dai nostri paesi se il territorio sarà più vivibile per quanto riguarda i servizi pubblici, ma anche se disporrà di una propria effettiva capacità occupazionale e, quindi, produttiva.

Pertanto, se si continuerà a pensare di poter frenare l’esodo, specialmente quello giovanile, con i sussidi assistenziali, con vaghi interventi non collegati alle effettive risorse dei luoghi di residenza, le aree interne non diventeranno mai attrattive per i giovani. I quali giovani invece potranno trovare occasioni di lavoro nei propri comuni solo se in questi luoghi si avvierà una diffusa ed organica “industria del territorio”, che potrà creare stabile occupazione, determinando un nuovo tipo di sviluppo locale, intersettoriale, in cui i giovani potranno trovare un lavoro scelto e non semplicemente subito.

Difatti l’industria del territorio utilizza il suolo non semplicemente come spazio di attraversamento, bensì come base e motore della sua permanente azione di stabilità e produttività dei beni idrogeologici e forestali, nonché di gestione delle fonti energetiche rinnovabili-comunque nel rispetto dell’ambiente e del paesaggio-e contestualmente con opere di prevenzione e contenimento dei dissesti e delle alluvioni a valle e nei centri urbani. Si guardi a quello che è successo in Romagna per convincersi che le opere di riparazione, ancorchè indispensabili, non bastano: servono interventi operati con i criteri dell’industria del territorio, cioè non tanto per correggere i dissesti di ieri ma per assicurare il continuativo assetto idrogeologico di domani.

Per affrontare il problema dell’esodo giovanile e dell’invecchiamento della popolazione dei nostri paesi la prima cosa da fare è di convincerci che le aree interne non sono parenti poveri, bisognosi di aiuto assistenziale, ma fonti produttive di stabilità idrogeologica nonché di energie rinnovabili e quindi di occupazione produttiva: appunto perché le aree appenniniche sono creditrici e non debitrici verso il resto del Paese.

ROBERTO COSTANZO