Imparare la storia dalla toponomastica In primo piano

Non ha destato grande interesse la nota di Erminio Fonzo. che invita l’ANPI a proseguire la riflessione sulla toponomastica cittadina, alla ricerca di nomi compromessi con il fascismo.

Fonzo cita ad esempio Viale degli Atlantici, Via Clino Ricci, Via Perasso e Piazza Matteo Renato Donisi.

Non entro nel merito di indicazioni, come quella che Matteo Renato Donisi avrebbe fatto abbattere Porta Rufina allo scopo di “costruire un nuovo viale per collegare il centro storico alla stazione, parallelo al già esistente viale Principe di Napoli”. Cito: “Di questa strada nessuno avvertiva l’esigenza (non si avverte nemmeno oggi…) e infatti non è stata mai costruita”.

Affermazione quanto meno strana. Il primo tratto di questo nuovo viale è quello che si chiamò 28 ottobre e, per celebrare la caduta del fascismo e cancellare la marcia su Roma, fu trasformato in 25 luglio, che sempre un ricordo del fascismo è (la sfiducia del Gran Consiglio e le dimissioni di Mussolini). Poi la Repubblica. in anni più recenti, ha prolungato il sistema viario e realizzato anche il “secondo ponte” sul Calore, attraverso la doppia rotonda che collega il viale fascista alla viabilità di scorrimento progettata negli anni ’80 e realizzata nel decennio successivo del secolo scorso. Il ponte nuovo è stato realizzato al di là del “ponte di ferro” della Ferrovia Avellino Benevento (il progetto di Donisi vedeva il ponte al di qua del ponte ferroviario. In direzione di Via Tiengo).

Ma non è questo il momento di una riflessione più puntuale sulla specificità della proposta. Di strade intitolate a personaggi che hanno assunto cariche pubbliche negli anni della Repubblica, pur avendo nel bagaglio formativo esperienze nelle strutture del periodo fascista, ce ne sono a iosa. Limitandoci ai sindaci del dopoguerra, a parte Alberto Cangiano e Giuseppe De Lorenzo (esponenti del Movimento Sociale Italiano) erano stati attivi nel Ventennio Alfredo Zazo e nelle associazioni giovanili Mario Rotili e Pasquale Meomartini.

Certo antifascismo da prosopopea, lungi dal cancellare qualcosa che del passato non ci piace, rinfocola una cultura del revanscimo. Non basta il nome della Presidente del Consiglio? Con la stessa “filosofia” dell’ANPI beneventana, qualche zelante emulo della Meloni potrebbe pretendere di cancellare i nomi di altri “sconfitti della storia”.

Quando si parla di storia bisogna avere la consapevolezza che non è materia facoltativa, che si può “saltare” o addirittura “cancellare”. Ripeto una frase che ormai uso con la disperata speranza di vederla un giorno fatta propria da chi ha gli strumenti della onestà intellettuale. Ecco: la storia è una eredità che non si può accettare con beneficio d’inventario. Solo facendoci carico della storia, di tutta la storia (compresa quella che non ci piacerebbe), è possibile poter “continuare”, gettando il cuore oltre l’ostacolo per acquisire una competenza capace di maneggiarla con cura.

Non posso saltare il periodo fascista, perché quel periodo c’è stato a allunga tanta parte della sua produzione in campo istituzionale, urbanistico, giurisdizionale che - collegandosi con il suo passato - si proietta anche nel vasto campo della Repubblica costituzionale.

Ma sì, signori miei, il TULPS tuttora vigente è il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1938: più fascista di così? E però la Repubblica in ottant’anni non ha trovato il tempo di scriverne uno nuovo. Per tacere dei codici, della legge urbanistica, del sistema scolastico, delle “cose materiali” (palazzi e fabbricati di prestigio) nelle quali sono entrati a funzionare (?) gli organismi della nostra fede democratica e repubblicana. Per il Viale degli Atlantici, che facciamo amici dell’ANPI? Cambiamo solo il nome e lo demoliamo perché intrinsecamente velenoso? E buttiamo giù gli edifici della Camera di Commercio, dell’ex INPS a piazza Roma, delle Poste Centrali, del Liceo Classico, della scuola elementare Mazzini, del “Liceo del Tabacco”?….

Cancellare i nomi delle strade? Quando c’era una “civiltà”, si apponeva una nuova targa sulla quale, oltre al nome nuovo (es. Via 3 settembre) si metteva in piccolo la vecchia denominazione (stando all’esempio: Vico delle Nevera). Non è sintomo di “civiltà” distruggere la toponomastica delle contrade o dare corso a intitolazioni surreali (per esempio un nome di un brav’uomo con l’annotazione Possidente).

Ecco, prendiamo spunto da questa “storiella” per avviare un’ azione pedagogica, a partire proprio dalle scuole, affinché si studino le storie dei personaggi a cui sono intitolate strade e piazze, il tempo in cui è avvenuta l’intitolazione, il “fatto” o i fatti (belli o brutti che siano) che un determinato nome può richiamare.

I nomi non si cambiano. Non solo per aiutare il lavoro dei postini.

MARIO PEDICINI