L'acqua che vogliamo In primo piano

I beneventani di acqua se ne intendono. Quando, nel 1952, fu inaugurato l’acquedotto di Pantano non solo battezzarono col nome di fontana a posticcio lo zampillo alzatosi a piazza Bissolati al comando del sindaco Vincenzo Cardone, ma etichettarono il prezioso liquido come Pantanino ironicamente degno di essere offerto al bar. E sì, perché dopo l’ottima acqua di Cautano del 1920 e quella, ancora migliore, dell’Alto Calore, ci si era dovuti “abbassare” a scavare le “gallerie filtranti” sotto il livello del fiume Calore in quel di Pantano. Nel 1960 la nuova acqua di Pezzapiana non appariva migliore.

La città, nel frattempo, aveva superato con qualche morto l’epidemia di tifo addebitata agli scambi cortesi tra tubazioni dell’acqua e fognature sofferenti a causa dei bombardamenti. Addirittura si andava formando un vero rione attorno al nuovo Viale Mellusi, mentre si ampliava di nuove palazzine il Rione Libertà.

Per l’acqua, oltre ai due serbatoi del San Nicola e quello di San Vitale per Cautano, c’era quello più grande detto “dei Gesuiti” al Monte delle Guardie, dove affluiva l’acqua dell’Alto Calore e, per pompaggio dal basso, quella di Pantano e, poi, di Pezzapiana.

Soprattutto il Rione Libertà soffriva la drammatica penuria del “prezioso liquido” garantito da una piccola tubazione discendente da Porta Rufina, che aveva una chiave d’arresto nella spalletta del ponticello della Libera. Fu questa emergenza a far decidere, nel 1968, lo scavo dei pozzi di Campo Mazzoni, nei pressi della Colonia Elioterapica. La condotta per il Rione Libertà attraversava il Calore su una passerella in ferro (alle spalle della Madonna delle Grazie) e il Sabato in sotterranea per giungere (in pressione) al nuovo serbatoio della Gran Potenza e da qui immessa nella rete sottostante. Da campo Mazzoni, poi, si attivava una condotta premente per il pompaggio fino al serbatoio dell'alto Calore a Monte delle Guardie.

L’acqua alle Palazzine (era questa l'espressione popolare) fu benedetta dalle famiglie, che finalmente potevano farsi la doccia e accendere le lavatrici ad ogni ora del giorno. E riusciva perfettamente ad integrare i fabbisogni anche delle altre zone.

Ma com’era quest’acqua? Anzi, visto che il problema si è riproposto in questi giorni, com’è quest’acqua? I beneventani non ancora convertiti all’acqua minerale sono concordi nel dire che è meno vrora di quella di Pantano ma non ha quella pulizia (e quella freschezza) di quelle di Cautano e dell’Alto Calore. Tutti hanno mandato in archivio come una battuta pittoresca quella del medico consigliere comunale Iolando Martone che riteneva, serio e preoccupato, che per l’acqua di Campo Mazzoni potesse trattarsi di “succo di cadavere”, perché proprio di fronte al Camposanto il fiume Calore fa ancora oggi una bella curva per convogliare i secreti del sovrastante sottosuolo cimiteriale.

E’ certo, però, che il miliardo di lire trovato presso la Cassa del Mezzogiorno e prontamente accolto dal Comune fu speso per far fronte ad una emergenza. Quasi contemporaneamente, infatti, si avviò l’esecuzione di una derivazione dall’acquedotto del Serino nei pressi di Altavilla Irpina per portare a Benevento 130 litri al secondo dell’ottima acqua diretta a Napoli. La posa della condotta arrivò da Benevento fin quasi al ponte della Ferrovia Avellino-Benevento nei pressi del bivio per Tufo. Di quell’opera è tutt’oggi attiva la grande vasca di Monte delle Guardie, che mandò in pensione la più piccola dell’Alto Calore.

L’acqua del Serino non giunse mai al nuovo serbatoio, perché il Piano Generale degli Acquedotti della Campania assegnò a Benevento una derivazione dell’acquedotto del Torano-Biferno. Acqua di altissima qualità che non ha nulla da invidiare a quella del Serino.

Abbiamo voluto raccontare questa storia, per rispondere alle questioni poste oggi sul tappeto circa la potabilità delle acque autarchiche, dopo che la Regione ci ha chiuso in faccia la dotazione del Torano-Biferno.

La questione è semplice. Abbandonando per un attimo le evasioni filosofiche sull’acqua bene comune (e se la deve gestire un Comune che non ce la fa a tappare le buche sulle strade o la maledetta Gesesa-Acea), nonché le discussioni sui limiti di tollerabilità di sostanze chimiche pericolose, le debolissime forze politiche non devono far altro che far modificare il piano regionale. Con l’obiettivo di assegnare alle acque della subalvea del Calore (comprese quelle della valle telesina) una funzione di supplenza e di ripristinare per i cittadini di Benevento (e di qualsiasi altro comune) il diritto ad avere acqua di qualità superiore.

Detto terra terra, in maniera che tutti possano capire. Non ci basta il rispetto dei limiti medi di purezza e durezza: anche per rispetto di lavabiancheria e lavastoviglie vogliamo l’acqua più pura che le nostre montagne custodiscono. Un’acqua, peraltro, degna del prezzo che paghiamo.

MARIO PEDICINI