L'involontario cambio di genere del giudice Distrattoni In primo piano
Nel tribunale di Vattelapesca gli avvocati Costante e Coriaceo sono da tempo contrapposti in una accesa causa di separazione giudiziale dei coniugi.
Tra i provvedimenti provvisori adottati, molti anni prima, dal Presidente della Sezione Civile vi è anche quello dell’affidamento della casa coniugale al marito, poiché il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente è intervenuto nel processo ed ha chiesto di continuare a viverci con lui.
Successivamente assegnata al giudice designato alla trattazione, la causa si è stancamente trascinata per questioni di vile pecunia, ossia per le divergenze sull’importo del mantenimento dovuto dal marito alla moglie, e, dopo oltre un lustro di singolar tenzone (tempo enorme per un comune mortale, non per un fortunato “utente” della giustizia), è stata finalmente assegnata in decisione.
Per gli incomprensibili “misteri della fede” del processo civile, mentre il giudice che deve deciderla viene assegnato alla Sezione Penale del Tribunale la sentenza resta …. in “quiescenza”.
Passano alcuni mesi in trepidante attesa della decisione, ma la sentenza non esce. Passano altri mesi di speranzosa “aspettativa”, ma … il risultato non cambia. Fin quando i clienti, spazientiti dal non verificarsi di un evento certo dal tempo incerto, come la morte (certus an, incertus quando, dicevano i Romani, con mirabile sintesi), decidono di passare dalla marcatura a zona alla marcatura a uomo dei loro avvocati.
Dopo ripetuti tackle da cartellino giallo ed interventi che sfiorano il rosso, uno degli avvocati, anche per cercare di salvare la pelle, decide di scrivere al Presidente del piccolo tribunale, facendo presente la paradossale situazione, al limite dell’indecenza, e chiedendo un autorevole intervento affinché si arrivi alla agognata decisione.
Come per incanto il processo si sblocca e viene assegnato ad altro giudice per la decisione. Il giudice Semplicio Distrattoni.
Gli avvocati comunicano ai clienti la “lieta novella”, fra lo stupore e l’incredulità degli stessi (eufemismo per qualificare i loro incommentabili commenti), e pensano: se non avessimo sollecitato il Presidente, saremmo ancora nella certa incertezza di una sentenza “che non s’adda fare”.
Passa un altro mese e la sentenza finalmente viene pubblicata, a quasi sei anni dall’inizio dell’avventura forense.
E’ la conferma che il processo civile non è come la matematica, in cui cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia; nel processo civile è proprio il fattore umano a determinare il diverso risultato.
Infatti, l’assegnazione del nuovo giudice ha determinato il passaggio dal processo in aeternum al processo ad finitum.
Ma la doccia fredda arriva dalla lettura della decisione.
Il giudice Semplicio Distrattoni, facendo onore al suo cognome, non solo ha trasformato il figlio in figlia ma autorizzato lo/la stesso/a vivere nella casa coniugale con la madre, invece che con il padre.
Transeat il disastro giuridico, per la violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, ma non quello del cambio di … genere (tra l’altro, non richiesto) dal maschile al femminile, attraverso una sentenza di separazione giudiziale.
Lo sconcerto della prima ora lascia presto il posto al panico fra i coniugi, il/la figlio/a e gli avvocati, per la prefigurazione del fosco scenario della continuazione del processo in appello.
Ma quando tutto sembra perso … d’improvviso esce il sole.
Poiché la paura fa novanta, gli avvocati e le parti, in nemmeno un mese, riescono a trovare quell’accordo cercato inutilmente per più di sei anni, a chiudere definitivamente la vicenda con una scrittura ed un divorzio consensuale, ed evitare di navigare ancora nelle acque agitate dello stupefacente mondo della giustizia italiana.
Insomma, la soluzione è giunta proprio dal … naufragio del Titanic.
UGO CAMPESE