Lo sfascio del Rummo In primo piano

I fallimenti, qui da noi, si celebrano con sprezzo del ridicolo. Presidio permanente, sciopero della fame, accorrere trafelato di parlamentari, adunata in Prefettura, telefonata del presidente della Regione, che fa intravedere un probabile arrivo in loco. E’ bastato poco a far sbollire l’ondata di sdegno.

Non s’è capito che cosa è cambiato all’Ospedale di Sant’Agata dei Goti, tale da giustificare fiduciose attese. Tutto quello che era stato programmato, infatti, si sta realizzando. Il capolavoro era stato montato con gli ingredienti giusti per un glorioso fallimento.

Sant’Agata dei Goti polo oncologico tutto nuovo, senza nomi di grido e con la quotidiana lamentazione che non c’è neanche il pronto soccorso. Per quale motivo un malato di cancro dovrebbe andare a Sant’Agata dei Goti?

De Luca (presidente della Regione e commissario governativo per la sanità campana) tiene duro sul criterio di una unità di secondo livello ogni 600mila abitanti. Per tenere in piedi il Rummo gli si toglie un braccio, brandito a mo’ di reliquia per fare il miracolo a Sant’Agata dei Goti. Che fa la classe politica? Niente. Aspetta che qualcuno prenda l’iniziativa di una tenda a significare un presidio permanente con annessi scioperi della fame per appoggiare ora l’una ora l’altro, ora entrambi.

L’unica carta da giocare sarebbe stata quella di imporre a De Luca, nel rispetto del numero complessivo delle strutture di secondo livello da mantenere in Campania, la assicurazione che una struttura di tal fatta sarebbe stata assegnata comunque a ciascuna provincia. In Campania, dopo il referendum del 4 dicembre 2016, le province sono 5. Sia Benevento che Avellino avrebbero diritto (secondo la nostra proposta) a tenere il proprio presidio (magari aggregando pezzi di province confinanti).

Nessuno dei giocatori beneventani ha mai voluto assecondare questa nostra “stramba” teoria. Sindacati, Camera di Commercio e altre mosche cocchiere hanno anzi fatto la corsa alla Area Vasta (AV-BN) con il sacrificio di Benevento.

Evitato il coraggio di fare qualcosa, alla luce del sole, a favore del proprio territorio, si è fatto finta di non capire che l’espediente del Polo Oncologico di Sant’Agata dei Goti era programmato proprio per far saltare la struttura di Benevento. E come poteva partire Sant’Agata se pure il più scalcagnato tumorato di Dio e fedele di Sant’Alfonso Maria dei Liguori ha la comoda scappatoia dei poli oncologici napoletani?

Poiché in Italia nessuno è costretto a fidarsi dell’ospedale più vicino, ma può liberamente accedere a strutture pubbliche e a quelle private (molte delle quali vivono proprio grazie all’inefficienze delle pubbliche) anche di altre regioni, com’era pensabile che Sant’Agata potesse fare il miracolo?

E’ un caso di scuola che il sostenitore a spada tratta della soluzione Oncosantagatese sia stato il segretario provinciale del PD, un dirigente di un territorio al quale - nel suo complesso - sono state sottratte risorse per impiantarle (e farle morire) nel suo paese d’origine.

Nella limitatezza del pensiero ci può stare una formazione all’antica, il piacere del potere, forse anche la goduria di un vertice segreto con il commissario-totem di tutta la Campania (non solo quella sanitaria) don Vincenzino De Luca.

Ma gli altri? Soprattutto quelli che hanno agitato le news accendendo l’attenzione della gente sul fallimento in atto del progetto polo oncologico... Anziché chiedere a gran voce, facendosi sentire da tutti, di far partire Sant’Agata, con ciò stesso confermando che non è partito niente (e niente può ancora ripartire), perché non hanno inteso ragionare su quanto pubblicamente articolato (noi ci abbiamo provato) circa una pericolosa china sulla quale si incamminava tutta l’organizzazione ospedaliera sannita?

Proprio quando si prospettava il numero di 600 mila abitanti come condizione minima per avere una struttura ospedaliera come il Rummo; proprio per non correre il rischio di far passare il Rummo sotto il più giovane Moscati di Avellino e proprio per scansare il pericolo, dalla costola del Rummo si fa nascere il polo oncologico di Sant’Agata dei Goti, una creatura nata morta. E intanto non s’e fatta rapida marcia indietro cercando di allestire il polo oncologico a Benevento.

Il ramo potato al Rummo non si impianterà più e il Rummo è più vicino alla sua sottomissione al Moscati di Avellino. Un capolavoro, non c’è che dire.

La rappresentanza politica, inesperta e disinformata nonché non abituata a sentire chi è più informato (per professione, età, cultura), ha ottenuto l’unico risultato di far conoscere alla possibile utenza che chi ha bisogno di certe cure farà bene ad evitare le nostre strutture. Di questo si erano accorti, peraltro, tutti i medici (primari e non solo) che poco alla volta se ne stanno andando. E l’elicottero non atterra più né per far arrivare né per portare altrove....

Un organismo in discreta salute, capace di attrarre utenze da altre province grazie alle professionalità e alle strutture tecnologiche qui presenti, non è stato alimentato per stare al passo ed anzi ha subito un autolesionistico smembramento.

A un pasticcio del genere non ci poteva mettere le mani il San Pio da Pietrelcina alle cui cure ne è stato affidato il destino con una frettolosa, immotivata e furbesca intitolazione.

Non abbiamo alcuna intenzione di prendere in giro i nostri lettori. Quindi non chiamiamo possibili azioni di consiglio comunale o provincia o parlamento nazionale. Osiamo sperare che sappiano fare qualcosa confindustria, ordini professionali, commercianti e parcheggiatori abusivi. Loro hanno più chiara la misura della “scesa” del Rummo. Noi non siamo tra quelli che hanno la fissa della “istituzione”. Se la istituzione non funziona, la si chiude. Ma si faccia un esame di coscienza.

Poi tutti gli ospedali d’Italia sono pronti ad accoglierci. E ce ne sono, che funzionano, anche a Benevento e nel Sannio. Se Fatenebefratelli, Gepos e Santa Rita (tanto per citare i nomi che prima vengono in mente) hanno clienti che bussano alle loro porte, il Rummo travestito da San Pio può anche finire.

Si tratta di scegliere e tenere pronti, tra i più meritevoli, i nomi da incidere sulla lapide mortuaria.

MARIO PEDICINI