NATALE 1943 In primo piano

La bella figura dell’arcivescovo Agostino Mancinelli accolse tra le sue braccia i beneventani in cerca di speranze. Al “freddo e al gelo”, oltre che nella grotta di Betlemme, nel Natale del 1943 si stava in ogni casa della Benevento acciaccata dai bombardamenti. In quello che era stato per secoli il Vescovado, scavalcando la montagna di macerie, un ricovero fu trovato per Mancinelli che non volle prolungare l’esilio di Sant’Angelo a Cupolo consigliato durante il “settembre nero” del crollo della cattedrale e di tutta l’area attorno. Se don Luigi Chiocchio poté celebrare portandosi appresso il quadro di Santa Maria di Costantinopoli (ancor oggi i beneventani chiamano piazza Santa Maria ciò che risulta dallo sbancamento del quartiere della antica parrocchia), l’Arcivescovo dovette esiliarsi per le funzioni religiose del Natale. Per le tre messe - racconta don Mario Iadanza, custode del diario di Mancinelli - scelse l’antica chiesa longobarda di Santa Sofia. Per dare solennità e offrire ai fedeli note di speranza sia alla messa di mezzanotte e sia alle due della giornata festiva prestarono il loro prezioso contributo per i canti i Fratelli delle Scuole Cristiane, che già nei locali del Collegio de La Salle avevano accolto i feriti di agosto e settembre.

In tante parti d’Italia e del mondo quello del 1943 fu un Natale di sangue, di lutti, di fame. A Benevento il “turbine della guerra” (bel titolo del racconto di Salvatore De Lucia) era passato, restavano tutte le conseguenze di quel passaggio. Se si può provare a rappresentare quei giorni si può dire che i beneventani si trovavano nella fase più amara della esperienza bellica: la fame. Guardandosi attorno tra palazzi crollati e macerie dappertutto si poteva immaginare quando e come potesse iniziare la ricostruzione. All’orizzonte non era ravvisabile, invece, la fine della fame, l’arrivo del pane oltre la razione della tessera. Soprattutto la civilissima schiera di impiegati e professionisti non era avvezza ad immaginare espedienti e piccole ruberie per procurarsi qualche verdura, un tozzo di pane. Con lo stipendio, sia pure taglieggiato dalla inflazione, non si poteva andare da nessuna parte. Non c’era merce da scambiare. Il giorno di Natale in tanti restarono digiuni. Non c’è da vergognarsi ad ammettere che, nella riservatezza di chi era abituato a non chiedere niente a nessuno, ci fu chi dopo aver assaggiato sparuti lupini come secondo ne ingurgitò le bucce.

I tedeschi lasciarono Benevento il 3 ottobre, continuando a cannoneggiare la città dalle postazioni alle falde del Taburno. I tedeschi che da alleati si erano, l’otto settembre, trovati in territorio nemico, risalivano lentamente, raccogliendo connazionali in armi. Se Benevento era liberata, stavano ancora con gli ospiti in casa quelli del Telesino o della Valle Caudina o del Fortore. Non è che, se anche si volesse, sarebbe stato possibile approvvigionarsi in aree confinanti.

La responsabilità del governo della città, esautorato il podestà e sfaldatasi la burocrazia governativa, fu assunta dalle poche personalità che non erano compromesse col fascismo. I nuovi invasori, per quanto “non nemici” (più che alleati), avevano assunto le funzioni di governo anche sui civili (non potevano contare sui militari la maggior parte dei quali si era svestito della divisa la sera dell’8 settembre). Toccò a esponenti del partito Liberale e del Partito Popolare “garantire” agli ufficiali inglesi che qui non ci fossero fascisti intenzionati a fare del male agli “invasori”. Resta celebre la orgogliosa e impegnativa frase di Raffaele De Caro (“Garantisco io”) all’Ufficiale inglese che si chiedeva “Come non ci sono fascisti?)”.

L’amministrazione della Benevento sotto le bombe fu affidata il 28 agosto al funzionario di Prefettura Felice De Pasquale con la qualifica di “commissario”, esonerando dalle funzioni di Podestà l’avvocato Ernesto Fierro. Il 5 novembre le funzioni di Commissario prefettizio furono affidate all’avvocato. Antonio Cifaldi, il quale sarà poi nominato sindaco il 17 marzo 1944 e conserverà la carica fino al 7 gennaio 1947, quando il passaggio della carica all’ingegnere Salvatore Pennella fu il frutto della prima elezione della storia della Repubblica, istituita all’esito del referendum istituzionale del 2 giugno 1946.

A Natale del 1943 quel che restava degli edifici scolastici era occupato dai “sinistrati”. Erano appena riprese le attività dell’anno scolastico 1943/44, quando il 17 marzo 1944 il quarantottenne Antonio Cifaldi divenne sindaco. A indicarlo, impegnandosi nella difficile prova di democrazia sotto la sorveglianza delle truppe di occupazione, furono i sette personaggi rappresentativi di una visione politica democratico-liberale: Raffaele De Caro, Ettore Parziale, Antonio Cifaldi, Angelo Mazzoni, Guido Delcogliano più i due cattolici di estrazione del Partito Popolare (fondato da don Luigi Sturzo) Giovanni Battista Bosco Lucarelli e Antonio Lepore. Al barone Bosco Lucarelli (uno dei pochi cattolici che proclamò la sua scelta repubblicana prima del referendum) andò la presidenza della Provincia; a Cifaldi, con la garanzia di De Caro, la carica di sindaco.

L’esercitazione democratica avveniva sotto la vigilanza delle forze armate angloamericane. Nel libro I Sindaco di Benevento 1944-1988, Giovanni Fuccio a pag. 13 scrive che “una stanza di Palazzo Paolo V era stabilmente occupata dal Capitano Edward D. Dion…mentre il capo dell’Ufficio Alimentazione fu prima il tenente La Rosa e poi il Ten. Gram (un oriundo beneventano che aveva americanizzato il cognome Gramazio)”.

Nel 1946 il vento nuovo della politica democratica vide due turni elettorali. E’ famoso il referendum del 2 giugno, con il quale gli eletti (oltre a svolgere le ordinarie funzioni di Parlamento monocamerale) furono investiti del compito di scrivere la nuova Costituzione (Assemblea Costituente). Non meno importanti furono le elezioni amministrative, nelle quali votarono per la prima volta nella storia italiana anche le donne. Le amministrative si tennero, in periodi diversi dell’anno solare, dal 10 marzo al 24 novembre. A Benevento, come in tutta la Campania, si votò il 24 novembre. Ecco spiegata la elezione a sindaco, nell’ambito del consiglio comunale, solamente il 7 gennaio 1947. E il primo sindaco, l’ingegnere Salvatore Pennella, a voler essere pignoli, obbediva ancora allo Statuto Albertino perché la nuova Costituzione repubblicana era ancora in elaborazione presso l’Assemblea Costituente che terminerà i lavori a Natale del 1947, consentendo al presidente della Repubblica di firmarla il 27 dicembre e mandarla in vigore il 1° gennaio 1948. Alla redazione della Costituzione (in quanto eletti il 2 giugno 1946) parteciparono sia Cifaldi che Bosco Lucarelli, scelti come abbiamo visto a capo del Comune capoluogo e della Provincia, nonché il capo liberale Raffaele De Caro e il democristiano Giovanni Perlingieri.

MARIO PEDICINI

Foto: Fierro - Via Traiano Benevento