Potature fuori stagione In primo piano

Che in Italia non ci sia una conoscenza basilare di che cosa sia un albero è dimostrato dall’ultima “trovata”, scoperta dai controllori europei. Scrivono Milena Gabanelli e Gianni Santucci sul Corriere della Sera del 6 aprile di quest’anno (pagina 9) che l’Italia ha chiesto all’Europa il finanziamento per piantare 6 milioni e 600mila nuovi alberi. Sembrerebbe, però, che, non trovando tante piante da trasferire dai vivai nei luoghi dove destinarle in modo definitivo, sia stata scoperta una soluzione che ha fatto arricciare il naso alla Corte dei Conti e ai Carabinieri: al posto di piante già adulte, mettiamo nel conto i semi necessari a farle nascere a crescere. Cioè farsi pagare i semi contabilizzati come piante.

Il più profano “cafone” sprovvisto di qualsiasi titolo di studio vi farà subito la differenza che passa tra un seme, una pianta da travasare e un albero che travasare non si può (tranne che non sia un olivo secolare che, ad un prezzo congruo, soddisfa il capriccio di uno che si sia fatta una villa). Anche il cafone senza virgolette capisce che una pianta adatta alla messa a dimora come futuro albero costa parecchio di più di un semplice seme. L’Italia però pagherebbe il prezzo di una pianta: cioè non è che l’Italia all’Europa rimborsa il valore dei semi; ma paga giustappunto il valore (già fissato, peraltro) delle piante. Per chi non lo sapesse i soldi del famoso Pnrr sono prestiti che l’Europa ci fa e che noi dobbiamo restituire. Per farla breve, noi ci troveremmo i semi interrati, ma pagheremmo il valore delle piante. L’Europa ci finanzia per 330 milioni di euro e noi tanto dobbiamo restituire. O facciamo le persone serie e ci troveremo i 6milioni di piante (a poco più di 50 euro cadauna), o facciamo i furbi e ci troveremo i semi interrati (restituendo all’Europa circa 55 euro a seme).

A Benevento siamo più avanti. Qui non si fa differenza tra potare e massacrare un albero. Ci siamo imbattuti negli ultimi tre anni in assessori a petto in fuori che hanno difeso le capitozzature dei platani di Porta Rufina, dei tigli di Via Torre delle Catene (o di via Avellino) e delle catalpe di Lungo Calore Manfredi. Ci sono delibere di giunta per l’abbattimento di 360 pini, verbali di commissioni che valutano quanto si possa ricavare dalla vendita dei legnami.

Ma qui furono tentati altri giochi di prestigio: gli abeti con l’apparato radicale tagliato e senza la minima traccia di terriccio, addobbati al Corso Garibaldi per il buon Natale civico, furono portati e “trapiantati” a mo’ di alta siepe sul piazzale nei pressi dello stadio “Vigorito” dove, quando capita, si monta il circo equestre. Nessuno di quei poveri abeti resuscitò.

Non vorremmo fosse stata l’Europa a mandare soldi fuori stagione, perché potare i lecci a marzo a Viale Principe di Napoli e ad aprile al Viale degli Atlantici (tratto ex Viale Castello) è operazione che non fa bene alle piante che sono in piena vegetazione. Così come ridurre a scheletri con qualche raro fogliame nel mese di aprile i ligustri di Viale Mellusi è operazione che cadrebbe sotto la lente d’ingrandimento dei Carabinieri Forestali. Ma a noi delle sanzioni poco ci interessa, anche perché saremmo sempre noi contribuenti a dover provvedere.

Quel che deve interessare a cittadini coscienti è che con queste pratiche ci viene sottratta quella specifica, diuturna operazione che le foglie degli alberi ci assicurano, consumando anidride carbonica e producendo ossigeno.

A che servono le (rarissime) comunicazioni allarmanti circa lo stato pericoloso dell’aria che respiriamo, se impediamo quel processo naturale di ossigenazione che ci viene solo dal fogliame degli alberi?

Mai come quest’anno, oltre ai “mancati manovali provvisti di motoseghe”, si sono aggiunti “mancati ortolani provvisti di tagliaerba” che buttano all’aria inesorabili i prati fioriti di erbe spontanee tra le più pregiate per la vita delle api e di altri insetti. Nei pressi di giostrine e scivoli vari deve essere evitato ai bambini curiosi di avvicinarsi a chiazze fiorite dove potrebbero osservare lucertole e api, una lumaca e un verme, un topolino o un rospo, il calabrone o una biscia. Tutte cose orribili dal vivo, di sicuro interesse viste in televisione o illustrate oralmente dalla maestra.

I bambini moderni (o i loro genitori) sanno distinguere un passerotto da una rondine, un gabbiano da un colombaccio? Avranno mai capito che non è la gabbia l’habitat naturale di tanti begli uccellini condannati a cibarsi di mangimi, quando la nostra natura mediterranea offre varietà di scelta.

Sono uscito fuori tema? Certo, se si pensa che è importante una passata di disinfettante e disinfestante per tenere pulita l’aria. Qualcuno si chiede perché mai durante queste operazioni si raccomanda di tenere chiusi balconi e finestre? O se veramente ha qualche significato il fatto che, quando si puliscono le anse dei fiumi, certi animaletti evitano di suicidarsi e gironzolano nei pressi di bar e ristoranti?

MARIO PEDICINI