Salvare il parco Cellarulo In primo piano

All'ombra di un cielo fermo, cresce l'erba libera e indifesa, respira leggero un bosco quasi urbano, mentre poco lontano svetta la Madonna delle Grazie. Da qui la città si spegne nella calma nevrotica di una strada di paese il giorno dopo la sagra. Da qui, la città sembra eclissarsi nell'arida spietatezza di un campo di battaglia a guerra finita. È il parco Cellarulo: una delle zone più travagliate del capoluogo sannita, attualmente teatro di incuria e desolazione, location perfetta per girare un film distopico e post-apocalittico. Entrare è ormai agevole, anche se la zona è dissestata e chiusa da anni, entrambi gli accessi sono stati forzati e si può facilmente passare. All'interno, dopo una camminata poco confortevole su una stradina ormai crollata, circondata da edere selvatiche, si può ammirare la struttura rialzata che sovrasta il parco che fu, ormai depredata e in stato di decomposizione.

Tutti sembrano essersi dimenticati di Cellarulo, tranne il silenzio, piacevolmente rotto solo dallo scorrere del fiume. Qualcuno sceglie ancora di andare a correre in quello che è diventato un tortuoso percorso a ostacoli, forse per aggiungere un pizzico di brio al suo allenamento, soprattutto nell’ipotesi in cui dovesse sbucare qualche cinghiale dalle profondità del bosco vicino. Anche altri animali popolano il parco Cellarulo, ma non tutti sono stati ancora identificati, soprattutto quelli che non superano in altezza l’erbaccia e le montagne di rifiuti: se si è fortunati si può sentire il loro movimento, ma scorgerli è quasi impossibile. Se si passa da quelle parti, ci si accorge che, a parte queste piccolissime eccezioni, tutto è fermo, anche il cielo.

L'attitudine all'immobilismo e alla procrastinazione è sempre stata nel destino del parco, sin dall'inizio: inaugurato nel 2010, è stato aperto soltanto due anni dopo, nel 2012. Poi vennero i contenziosi, la mancanza del collaudo, le indagini della magistratura, l’alluvione. È la triste storia di un luogo rigonfio di storia, che avrebbe dovuto rappresentare il perfetto connubio tra archeologia, turismo e natura. Costato circa 3,5 milioni di euro, attualmente è una discarica a cielo aperto, ma anche un museo che conserva perfettamente, alla stregua di reperti, i danni causati dall’alluvione del 2015, come il percorso pedonale dilaniato dalla furia del fiume e la stessa poltiglia fangosa di quel giorno nefasto. Eppure, sin dai tempi remoti, la zona un po’ periferica in cui il parco si trova è stata abituata alla presenza dell’uomo.

Il nome “Cellarulo” deriva dal latino “Cellarium”, parola con cui si indicava uno spazio adibito a magazzino, più precisamente, nel caso di specie: un ambiente dedito allo stivaggio di merci, testimone di un’area legata alla produzione e al commercio. Si registra, infatti, nel periodo che va tra il III secolo a.C. e il IV secolo d.C., la presenza di impianti produttivi in quell’area resa strategica dalla vicinanza del Calore, fondamentale risorsa per il rifornimento d’acqua. Non solo, sulla base del ritrovamento di una struttura lineare in conglomerato cementizio entro blocchi di calcare e tufo lungo la riva del fiume, si ipotizza che in quella zona vi fosse anche un porto fluviale, destinato allo svolgimento di attività commerciali. Basta questo per comprendere l’importanza del parco archeologico Cellarulo, passato dall’essere centro nevralgico e strategico della città antica a tetro e lugubre specchio della decadenza della città moderna.

Negli ultimi anni innumerevoli petizioni, proteste, interrogazioni sono state portate avanti senza successo nella speranza di recuperare un luogo affascinante e amato da tutti i cittadini, per lo meno in quel breve frangente di tempo in cui è stato possibile goderne. Eppure, in questo quadro silente di desolazione e abbandono, sembra di sentire una voce sottile e lontana provenire dall’altra sponda del fiume, come un’eco che si espande per le strade della città. È il rimbombo della petizione popolare “Salviamo il parco Cellarulo” che sta per diventare realtà, grazie all’instancabile lavoro del gruppo “Benevento Nascosta”. Il referente Maurizio Bianchi, studioso ed esperto della storia della città, ha deciso di creare una piattaforma che porterà lo stesso nome del gruppo, al fine di sensibilizzare e informare la cittadinanza su questioni spinose come quella che riguarda il parco e su altre iniziative volte a salvaguardare il nostro patrimonio culturale. Tra gli obiettivi di Bianchi ci sarebbe anche l’intenzione di dare vita a un crowdfunding, ovvero un finanziamento collettivo volto al recupero del parco Cellarulo, ma non prima che venga progettato un piano strategico concreto di riqualificazione del sito.

Allo stato attuale, il parco sembra aver assunto le sembianze di un cimitero naturale, abitato dalle carcasse di animali selvatici e di promesse tradite. Pare essere tornato, quindi, alla sua destinazione più remota, quando la zona era deputata all’uso funerario, prima che fosse adibita al commercio e alla produzione. Non si sa se questa nuova e nobile iniziativa porterà il parco Cellarulo a una rinascita reale, però, a prescindere dall’esito, ciò che si rileva, in un clima di desolazione generale, è l’interesse perpetuo al recupero dell’area che la cittadinanza non ha mai smesso di mostrare. Iniziative come quella di Benevento Nascosta servono ad alimentare la voglia e la speranza che l’area archeologica trovi una nuova vita, perché il vero pericolo di Cellarulo non è il degrado, ma l’oblio.

RAFFAELE DE BELLIS

Foto di Mimmo Salierno 

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