Di smartphone si può anche morire... è già capitato Società

Lo scorso febbraio in Austria una ragazza di 21 anni è morta folgorata nella vasca da bagno quando lo smartphone che teneva in mano le è sfuggito dalla presa cadendo nell’acqua. Due mesi prima, a dicembre, una ragazza russa di soli 15 anni era morta esattamente allo stesso modo.

Facendo una ricerca, sono riuscito a reperire in rete diversi casi simili ai due che ho citato, uno dei quali ha coinvolto una ragazza italiana che è morta nel 2017 quando il telefono che aveva in carica (quindi attaccato alla presa della corrente elettrica) è scivolato nella vasca.

In passato, gli elettrodomestici più pericolosi presenti nei nostri bagni erano gli asciugacapelli e, in misura minore, i rasoi elettrici. Tutti noi sappiamo che non bisogna adoperare il phon con le mani bagnate. Ora un nuovo pericolo si aggira per le nostre case ed è quello di morire folgorati dal telefonino durante il bagno.

Ma perché portarsi lo smartphone fin dentro la vasca? Il bagno dovrebbe essere il momento rilassante per eccellenza della giornata. Vi sono categorie di persone, dai pendolari alle neomamme, la cui vita è talmente piena da potersi permettere soltanto docce rapide, ma che appena dispongono di un po’ di tempo libero, si concedono un bagno rinvigorente, che consenta loro di staccare dalla routine quotidiana e dedicare una mezzora al relax puro e semplice.

La verità è che lo smartphone è diventato una forma di dipendenza. Di certo non è così per tutti, ma sono molte le persone che ormai lo tengono acceso e lo portano con sé 24 ore al giorno, non solo in bagno ma anche a tavola e a letto.

E tra le persone che non possono più fare a meno di fissare lo schermo del cellulare in continuazione non vi sono solo professionisti quali gli operatori di borsa o i consulenti finanziari, la cui vita lavorativa dipende da quello strumento, ma anche persone comuni, giovani e meno giovani, che controllano la mail, leggono i messaggi e scorrono i post dei social anche più volte in un’ora.

Fateci caso, capita quando siamo da soli, ma anche in compagnia: non c’è più una tavola apparecchiata che non ospiti uno smartphone davanti ad ogni commensale. Anche al bar, persino al cinema (dove l’attenzione dovrebbe essere monopolizzata dal grande schermo), moltissimi non riescono a fare a meno di tenere gli occhi incollati sul telefono.

Con le dovute differenze, la dipendenza da smartphone non è poi tanto diversa dal vizio del fumo o dell’alcol. Avete mai visto un treno in sosta in stazione in attesa di ripartire, con tante persone sulla banchina o addirittura sui gradini del treno, intenti a fumare una sigaretta? Per loro il viaggio in treno, soprattutto su lunghe distanze, senza poter fumare è un’autentica tortura. Allo stesso modo, per chi soffre di dipendenza da smartphone l’idea di doverlo tenere spento e non poterlo usare per la durata di un film, di una cena o di una riunione di lavoro è a dir poco insopportabile.

Eppure, a differenza del fumo, lo smartphone non crea una forma di dipendenza fisica, ma solo psicologica. Dunque l’ansia, il nervosismo, l’horror vacui che colgono coloro i quali si ritrovano deprivati di quest’appendice rivelano un disagio puramente interiore.

Già oggi sui treni gli altoparlanti pregano i passeggeri di moderare la suoneria del cellulare ed il tono della voce, ma più volte è stato suggerito di creare carrozze sulle quali sia proibito l’uso dello smartphone (così come, prima del divieto assoluto di fumo, esistevano vagoni ferroviari per fumatori e per non fumatori).

Prima che si giunga ai divieti per legge, suggerisco di ricorrere al buon senso e di adoperare il senso della misura anche nell’uso dello smartphone. A cominciare dal non lasciarlo acceso quando si va a dormire, fino a riservarci ogni giorno almeno un momento di pausa in cui dedicarci ad altro senza pensare all’onnipresente apparecchio.

CARLO DELASSO