PIETRELCINA - Le vicissitudini della statua di Sant'Antonio e del Bambinello Chiesa Cattolica

In occasione del Giubileo del 1950, indetto da Papa Pio XII, la chiesa parrocchiale di Pietrelcina intitolata a Santa Maria degli Angeli venne riconsegnata al culto della popolazione a seguito di ingenti e straordinari lavori interni ed esterni di restauro e conservazione al tempio sacro più importante della comunità pietrelcinese.

Il parroco dell’epoca don Albino Catalano, originario di Beltiglio (Bn), e il sindaco Bernardo Cardone, con un apposito comitato, in cui molto si adoperò per la raccolta fondi Vincenzo Pennisi, emigrato negli Usa - dal libro Beata te Pietrelcina - furono eseguiti i restauri, sotto la direzione dell’ingegner Oascar Valente, con l’aiuto dei concittadini d’America, ‘lontani col corpo, ricorda la lapide a chi entra in chiesa, ma sempre vicini nel cuore’.

In tale occasione, la n.d. Zaira Colesanti, unica erede di donna Erminia Sagliocca, deceduta da pochi anni, fece dono, per meglio solennizzare ed impreziosire lo straordinario evento giubilare, alla chiesa parrocchiale della statua di Sant’Antonio da Padova, che veniva onorata nella cappella gentilizia interna al palazzo Sagliocca di corso Umberto I, divenuto poi, dal 1974, corso Padre Pio.

Nel 1983 palazzo Sagliocca venne acquistato dagli ultimi proprietari eredi Colesanti - ovvero i fratelli Marra: Enrico (notaio) e Silvana (professoressa), residenti a Napoli e figli della sorella della Colesanti, Maria e di Franco Marra, originario di Cervinara - dal Comune di Pietrelcina, quando era sindaco Lino Mastronardi.

Il simulacro ligneo, di scuola napoletana, venne sistemato nella nicchia laterale della navata principale, lato ingresso canonica. La famiglia Sagliocca organizzava da sempre la festa religiosa e civile del 13 giugno. In tale occasione, il primo giorno della novena, cadente il quattro giugno, la statua del Santo di Padova veniva trasportata in corteo dal palazzo Sagliocca alla chiesa Madre, così in gergo i pietrelcinesi usano appellare la chiesa Santa Maria degli Angeli, dove si venera la Madonna della Libera, posizionata nella parte alta dell’altare maggiore, la cui nicchia centrale realizzata in marmo pregiato, con meccanismo di sollevamento della statua, venne donato dall’imprenditore meccanico Antonio Cardone, fu Giacinto.

Ultimati i festeggiamenti del 13 giugno, il simulacro del Santo di Padova veniva ritrasferito in palazzo Sagliocca e deposto nella cappella interna. Dal 1950, in occasione, appunto, dell’Anno Santo, proclamato da Papa Pio XII dopo la miseria della II Guerra Mondiale, caratterizzata da una profonda crisi spirituale e morale, donna Zaira Colesanti, per sua espressa volontà, donò, come detto in apertura, la statua di Sant’Antonio, e per conservare la tradizione del corteo trattenne nella cappella della famiglia Sagliocca il Bambino.

La statua, quindi, presente nella nicchia della chiesa, risultava sprovvista del Bambino, e, al suo posto, il braccio sinistro della statua di Sant’Antonio sorreggeva il libro del Vangelo, appositamente collocato lì, come segno della straordinaria abilità oratoria del Santo nel predicare la parola di Dio.

Il Bambino, il primo giorno della novena del Santo, veniva portato nella chiesa e deposto sul braccio sinistro della statua, che veniva adagiata sul lato sinistro dell’altare maggiore contornata da tantissimi gigli. Dopodiché, ultimati i festeggiamenti, veniva riportato a palazzo Sagliocca.

Tutto, quanto illustrato sin qui, è accaduto sino al 1974, anno della morte di donna Zaira Colesanti. Il palazzo, per successione testamentaria, venne trasferito di proprietà alla sorella della defunta, la n.d. Maria, coniugata con Franco Marra, direttore provinciale dell’Ufficio del Registro. Alla morte di costei e del marito, il palazzo Sagliocca venne trasferito ai suoi due figli: Enrico e Silvana.

Nel frattempo, nel palazzo rimase la domestica, Donatuccia Caruso, che custodiva l’immobile, e consegnava ritualmente il Bambino della statua di Sant’Antonio, il 4 giugno, al parroco e al Comitato festa, presieduto dagli eredi Colesanti, a cui collaborava, per consolidata tradizione, la famiglia di Cosimo Pilla, negoziante-calzolaio, con moglie Vittoria, per la distribuzione ai fedeli del cosiddetto pane del Santo dopo la processione. E lo riprendeva dagli stessi al termine dei festeggiamenti per deporlo nella cappella interna al palazzo.

E così sino alla dismissione del palazzo Sagliocca-Colesanti a favore del Comune di Pietrelcina, anno 1983.

Cosa accadde dopo questo anno?

Nel frattempo il Bambino di Sant’Antonio era stato consegnato al cugino dei fratelli Enrico e Silvana Marra, vale a dire al medico condotto Vittorio Iadanza, il quale lo custodiva nella sua dimora di viale Cappuccini, quindi in villa notaio Silvano Colesanti, suo nonno materno.

Per qualche anno così si ripeteva e si rinnovava la tradizione della consegna e della riconsegna del Bambino di Sant’Antonio in occasione dei festeggiamenti del Santo. Dopo qualche anno, tutti gli eredi Colesanti, in comune accordo, decisero di donare definitivamente ‘u Bambiniellu e Sant’Antonio alla chiesa parrocchiale di Pietrelcina, il parroco dell’epoca era Padre Mario Manganelli, che li ringraziò solennemente a nome di tutta la Comunità parrocchiale pietrelcinese come atto di spontanea bontà e gesto di assoluta liberalità.

Negli ultimi anni è proseguita la tradizione della festa di Sant’Antonio da Padova in Pietrelcina il 13 giugno, grazie all’interessamento dell’ultimo erede dei Colesanti, il dr. Giancarlo Paga, figlio della nipote di donna Zaira Colesanti, la n.d. Emilia Iadanza, figlia della sorella Ilda, coniugata col prof. Romualdo Paga, già direttore didattico.

Anche i figli di Cosimo Pilla, Maria, Michele e Pio, continuano la collaborazione alla festa del Santo, interessandosi soprattutto per la preparazione e la distribuzione ai fedeli del cosiddetto Pane di Sant’Antonio, antico rito che viene rinnovato al termine della solenne processione, a seguito della benedizione dello stesso, in ricordo del miracolo del Pane di Sant’Antonio da Padova, avendo il Santo resuscitato il piccolo Tommasino annegato, com’anche del ponduspueri, attraverso questa tradizione secolare i genitori chiedono tuttora al Santo la protezione dei loro figli consegnando ai poveri tanto pane corrispondente al peso dei loro bambini.

ANTONIO FLORIO