Dalle Garibaldine il femminismo a Benevento Cultura

Chiamavano ‘stregate’ le donne anticonformiste nella Benevento ottocentesca. Pubblicamente non rivendicavano diritti, poteva comportare per loro l’ergastolo, molto meno rischioso era invece cominciare a liberarsi in famiglia dalla tradizionale soggezione all’autoritarismo maschile. Quella voglia di affermare la propria personalità appare oggi un femminismo ante litteram, ma quanto era dovuta al fascino di Giuseppe Garibaldi impegnato nell’impresa dei Mille?

La scintilla scattò con la speranza che l’Eroe dei due mondi sarebbe entrato in città per smantellare il potere pontificio. Le anticonformiste beneventane trovarono nell’occasione un nuovo ruolo.

È stato un caso per me scoprirne una, vissuta a metà Ottocento, infatuata dell’idolo delle donne. Parlai di lei in una conferenza a Napoli ad un pubblico convinto che Garibaldi sia stato un romantico travolto da un solo amore nella vita, la passione per la sua Anita.

Nessuno, in sala, aveva mai sentito parlare del difficile rapporto di coppia tra i due, né di quanto sia stato donnaiolo lui e disinvolta lei, che non si vergognava di fare il bagno nuda in mare e che una volta denunciò un ubriaco facendo sapere a tutti di essere stata palpeggiata. Anita era gelosa, considerava Giuseppe di sua proprietà, una notte arrivò a tagliargli capelli e barba per sottrargli fascino. Se avesse fotografato il Generale dopo averlo sbarbato, forse di lui avremmo un’idea diversa.

Dell’Eroe dei due mondi si innamoravano tutte al solo sentirne parlare. Quando nel 1860 mosse dalla Sicilia verso la battaglia del Volturno contro i Borboni, molte donne a Benevento si impegnarono a sostenerne l’impresa.

Nelle case confezionavano di nascosto camicie rosse per i Mille diventati ormai migliaia, cucivano le prime bandiere tricolori che avrebbero sventolato sugli edifici. Ce lo ha lasciato scritto una ragazzina rivoluzionaria che insieme a loro acquistava “tagli di stoffe colorate enormi” sognando di avvolgersi con il suo Eroe… nella morbida seta. Di lei, la più garibaldina della città, ci rimane una sbiadita fotografia. Si chiamava Maria Pacifico, abitava nel rione Triggio.

Al suo pronipote Vincenzo Pacifico, che mi consentì di studiare i suoi appunti di diario trovati in un vecchio mobile di casa, promisi di non svelarne i segreti più personali, ma pubblicai i documenti da lui donati al Museo del Sannio, tracce concrete delle rischiose iniziative di quella sconosciuta protagonista del Risorgimento. La risonanza fu nazionale, Benevento si entusiasmò per quegli antichi segnali di femminismo in città, il Comune intitolò a Maria Pacifico il tratto della Via Carlo Torre che fiancheggia il duomo per poi dedicarle un ventaglio di strade nel Rione Libertà.

Maria Pacifico cominciò a darsi da fare dopo avere sposato a soli quindici anni Salvatore Rampone, capo dei gruppi antipapalini beneventani. Furbissima, la mattina si faceva bella allo specchio per poter distrarre le guardie alle porte della città, che a tutto pensavano fuorché a scomporle i riccioli dei capelli dove lei arrotolava i foglietti segreti con ordini del marito da consegnare ai rivoluzionari. Quando Salvatore Rampone fu ricevuto a Napoli dal Dittatore, Maria non volle sentire ragioni, pretese di “andare a toccargli le mani”. Fu impossibile non accontentarla. Garibaldi ebbe modo di darle più di uno sguardo e lei trasmise poi alle compagne le sue emozioni. Morì a 23 anni.

Nella Benevento appena entrata nel Regno d’Italia chiamavano ‘fidanzate di Garibaldi’ quelle donne avventurose. Ma di fidanzate in senso più personale Garibaldi ne ebbe parecchie, oltre a tre mogli e otto figli riconosciuti.

Preferiva le nobili. Fra le tante Harriet Howard (nel dipinto) Duchessa di Sutherland che gli scriveva lettere a dir poco infuocate, e la elegante baronessa Maria Esperance von Schwartz che tenne a lungo con sé proprio mentre se la intendeva con un’altra, la marchesina Giuseppina Raimondi. Ma lo intrigavano molto anche le borghesi e le popolane.

A Londra la giornalista Jessie White fremeva per correre da lui in Italia. Imbarcatasi di nascosto, gli portò uno stiletto d’argento. Un dono d’amore o una minaccia nel caso che lui l’avesse rifiutata? Gli restò vicina per mesi, lui la chiamava “Jessie mia”. Soprannominata Hurricane, si comportò da vero uragano nella battaglia finale del Volturno.

Louise Colet, scrittrice e poetessa francese, a Napoli riuscì a introdursi nel Palazzo d’Angri in Via Toledo e a raggiungere la stanza in cui si trovava il Generale. E per rivederlo andò poi a Caprera dove lui intanto aveva avuto un figlio dalla “serva” diciottenne Battistina Ravello. Un’altra donna, col consenso del marito Paolo Fadigati, concepì una figlia con l’Eroe dei due mondi “pur di avere sangue garibaldino in famiglia” e la chiamò Repubblica! Donne illuse ciascuna di essere la più follemente amata da Garibaldi, ignare tutte che il loro adorato avrebbe poi scritto: Non riesco a capire come si fa a morire d’amore per una donna quando al mondo ce ne sono tante altre!

ELIO GALASSO