Cultura - Il dramma di Borsellino rivive nella piece di Cappuccio

Il dramma di Borsellino rivive nella piece di Cappuccio Cultura

Il direttore artistico di Città Spettacolo in “Paolo Borsellino-Essendo Stato” immagina una sorta di viaggio a ritroso nella memoria del magistrato; il tutto con la straordinaria interpretazione di Massimo De Francovich Il drammaturgo tedesco Brecht amava dire: “Beata l’epoca che non ha bisogno di eroi!”. La nostra epoca, da questo punto di vista, non può certo considerarsi beata. Lo testimoniano i tanti eroi comuni, ma allo stesso tempo straordinari, che spesso per caso si rendono protagonisti di azioni meritevoli. Uno degli eroi moderni che più deve essere ricordato è sicuramente Paolo Borsellino. Egli, magistrato palermitano, lottò con grande tenacia contro la mafia, dando tutto se stesso fino alla morte tragica in un attentato. In questa sua opera di profonda giustizia fu appoggiato costantemente dal suo amico magistrato Giovanni Falcone che morì colpito dalle stesse mani mafiose, desiderose di dare un duro colpo ai propri nemici. Ma Borsellino, rispetto a Falcone, visse 57 giorni in più e quindi, se possibile, ebbe ancora più forte la sensazione della fine che inesorabilmente poteva raggiungerlo da un momento all’altro. E la fine, purtroppo, venne. Un’esplosione alle 16.58 di quel fatidico 19 luglio 1992 “sorprese” lui e i cinque uomini della sua scorta proprio mentre stava andando a far visita all’anziana madre in via D’Amelio a Palermo. Ma cosa avrà pensato Borsellino, se ha avuto modo di farlo, nell’istante prima che la morte lo accogliesse tra le sue braccia? Partendo dalla risposta a questa domanda si dipanano gli intensi sessanta minuti dello svolgimento narrativo della pièce teatrale “Paolo Borsellino-Essendo Stato” che è stata presentata in prima nazionale al Teatro Comunale di Benevento nell’ambito di “Città Spettacolo”. Ruggero Cappuccio, che è direttore artistico della rassegna beneventana ed ha scritto e diretto l’opera su Borsellino, immagina così una sorta di viaggio a ritroso nella memoria del magistrato. Massimo De Francovich, che sulla scena interpreta magnificamente il personaggio nel modo di camminare e parlare, dà spessore e sostanza a sogni, riflessioni e dubbi. Emerge una dura condanna dello Stato, definito “una mafia munita di passaporto”, che troppo spesso non ha i mezzi e la capacità di difendere le cellule sane della società dai batteri che la infestano. Anzi, a volte, è lo stesso Stato che utilizza questi ultimi per colpire le cellule sane che meno gli convengono. Tutte accuse che Borsellino, come del resto Falcone, più volte aveva ripetuto nel corso della sua vita denunciando la solitudine a cui uno Stato in disarmo condannava alcuni dei suoi migliori funzionari. Nonostante ciò Borsellino non lasciò la Sicilia e Palermo perché era convinto, in una consapevolezza drammatica ed in certo senso incosciente, che, come amava ripetergli Falcone, la mafia per essere combattuta efficacemente non deve essere trasformata in un cancro, ma considerata come parte di noi stessi. Ad un uomo che sta per morire e forse è già morto non resta allora che sognare. Sulla scena Borsellino-De Francovich, che si alterna con cinque moderne Antigoni, rappresentanti del partecipante e silenzioso mondo femminile del magistrato, immagina di essere in una paradisiaca e pulitissima Procura distrettuale di Palermo al cospetto di tutti coloro che l’hanno preceduto sulla strada della morte per la giustizia. Si ha così modo di ricordare tra gli altri Mauro De Mauro, giornalista de “L’Ora”, Emanuele Basile, capitano dei Carabinieri, Peppino Impastato, Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei Carabinieri, il magistrato Rosario Livatino e lo stesso Falcone. Con quest’ultimo Borsellino-De Francovich si lascia andare ai ricordi di un’infanzia perduta, immersa nel calore e nella bellezza della terra siciliana, che è in tragico contrasto con una mentalità abituata al silenzio ed assuefatta ai rumori della mafia. Alla fine della messainscena di Cappuccio, a cui ha assistito commossa anche la moglie di Borsellino, Agnese, il protagonista può ben dichiarare: “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla, perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non piace per poterlo cambiare”. La Sicilia, una terra da odiare ed amare. Paolo Borsellino, un uomo semplicemente da ringraziare. FILIPPO PANZA