Il presepe uguale. Ragionando con un maestro presepista Cultura

In Via San Gregorio Armeno un artigiano presepista dalle mani magiche mi invita a comprare qualche ‘pastore’ scolpito nella sua bottega: “Vuie ’o facite ’o presepio?”. Lo faccio, gli rispondo, quando ho qualche figura originale da aggiungere, non un pupazzo come quello che stai facendo adesso ma figure su ordinazione come nel Sette e Ottocento. Questo sfizio è diventato impossibile, oggi non si può più fare un presepe diverso dagli altri, è il tempo del presepe uguale. “Uéué ma che state dicendo, spiegatevi” mi chiede. Gli dico che un po’ è anche colpa sua perché intanto sta facendo diventare ‘pastore’ un borioso Donald Trump affacciato a un balconcino, una statuetta venduta uguale in tutta Napoli. Poi gli spiego che l’artigianato napoletano ha scelto di non elevarsi più al livello dell’arte, preferisce non lasciar fuori niente e nessuno, e alla fine ha fatto ‘esondare’ il presepe: le bancarelle traboccano di copie e copie di politici, rappers, calciatori, divi della televisione, grattacieli in mezzo alle casette, ponti autostradali scarrupati sulle montagne. È un’alluvione di ‘figure-guarda-e-passa-oltre’, riconoscibili da chiunque. Spariti il mistero dei mille dettagli, le invenzioni che incantavano l’osservatore, catturavano gli sguardi, emozionavano il cuore, anche se a volte capitava di trovare nel presepe un piatto di tagliatelle al ragù di pomodoro sconosciuto al tempo di Gesù Bambino.

Il presepe uguale non diverte nemmeno quando la sacralità dello scenario viene contaminata da simboli scaramantici e oggetti del desiderio o dello scongiuro, capelli di innamorati, corni di corallo rosso, gobbetti portafortuna inseguiti da mani protese a toccarli. “Vabbuò - si giustifica sorridendo il maestro - ‘sti ccose servono pecché nun se po’ mai sapé se ’a reta ’a porta ce sta ’a scarogna…, ’o presepio sopravvive proprio pecché accuntenta ‘a gente”. A loro volta, concludo, i veri artisti non immaginano più il presepe cercando di tenere insieme memoria e futuro. La tradizione rimane sempre un riferimento ma l’arte e la creatività colta hanno bisogno di produrre idee e forme sempre nuove. I grandi artisti contemporanei tendono a semplificare il presepe, arrivano addirittura a minimizzarlo, ma sono sempre stimolanti, provocano l’intelligenza, rimodellano il gusto estetico.

A questo punto il maestro si agita: “Vabbuò aggio capito… secondo voi io song n’artista solo se metto nel presepio cose che nessuno capisce… ma jatevénne!”. Mi accorgo che ha dato un’occhiata al mio smartphone sul quale sto tirando fuori fotografie fatte da me in varie mostre d’arte contemporanea, tutte composizioni estrose, dal Presepe ironico dello statunitense Andy Wharol con i Re Magi intorno al Bambino sulle cui gambe ronfano una gatta e i sui cuccioli, al Presepe di Mimmo Paladino che in un’atmosfera di raffinato amaranto rende protagonista un gregge sparso per la campagna anziché il Bambino in basso, pecorella pure lui senza i genitori, mentre in alto s’insinua una inquietante pecora nera; fino al costoso Presepe colorato del britannico Sebastian Bergne che in questi giorni furoreggia a Londra. Qui, con assoluto minimalismo geometrico, la capanna è diventata una scatoletta di legno di faggio, quindici centimetri per venticinque, dal cui retro fa capolino la stella cometa in forma di esile asticella color oro, e dall’interno bisogna estrarre piccoli parallelepipedi per comporre la scena clou del Natale: Giuseppe in color marrone, Maria in azzurro e il Bambino orizzontale in color bianco, con sulla destra tre colonnine viola verde rosso simboleggianti i Re Magi, e solitaria sulla sinistra una colonnina grigia che rappresenta la folla dei pastori accorsi alla capanna.

Ma che mmiseria… chi ’a pò ccapì ’sta fessaria… e ce sta pure chi s’accatta?” domanda il maestro presepista guardandomi storto fino a quando, quasi per scusarmi, sento di dovergli mostrare in un mio libro la fotografia della Madonna che accarezza il Bambino fasciato nella mangiatoia, il Presepe di Benevento diverso da ogni altro, scolpito nel Chiostro di Santa Sofia intorno all’anno 1150, il presepe più antico del mondo (foto)

ELIO GALASSO