La colonna spezzata, un prezioso aiuto per le massaie del passato Cultura

I termini letterari che compongono la Colonna spezzata evocano in noi ricordi, riflessioni. Evocano, insomma, il ritorno nella nostra mente abbinamenti di ricordi, di riflessioni, di sensazioni, di emozioni, in ordine cronologico, della Pietrelcina degli anni Sessanta; di Napoli degli anni Settanta; e della Pietrelcina e della Napoli contemporanee. Ci stiamo riferendo alla Colonna spezzata, che, tuttora, è ancora ben visibile, e che sta ancora lì, in Pietrelcina, dagli inizi degli anni Trenta dello scorso secolo, accanto alla fontana pubblica posizionata davanti all’ingresso della Canonica parrocchiale di via San Paolo, prospiciente piazza SS. Annunziata; e alla Colonna spezzata, più famosa, ovviamente, di piazza Vittoria in Napoli. Quella di Pietrelcina sta là, ancor prima della costruzione dell’edificio adibito a Canonica parrocchiale; quella di Napoli fu eretta in due epoche diverse a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento; i rispettivi lavori vennero iniziati nell’Ottocento, furono ultimati nel Novecento.

Le due Colonne spezzate sono accomunate solo dalla postura che assumono; hanno funzioni e significati differenti. Procediamo con ordine. La Colonna spezzata di Pietrelcina venne eretta per sostenere le quartare, i recipienti di terracotta, utilizzate dalle donne del tempo per trasferire acqua potabile, attinta dalle fontane, dalle pile o dai pozzi, nelle abitazioni, proprie o altrui. Nelle proprie, dalle donne componenti la famiglia; nelle case altrui, vi erano le cosiddette quartarole, che, a pagamento, effettuavano, quotidianamente, il servizio, diremo oggi, di approvvigionamento idrico nelle residenze domestiche delle classi della popolazione più abbienti.

Le famiglie signorili disponevano pozzi interni ai loro palazzi. Queste faccende erano riservate alle domestiche, alle cameriere, insomma alle persone di servizio, alle serve per intenderci, alle perpetue, alle badanti. Una volta riempita la quartara, che poteva contenere all’incirca una decina di litri di acqua, era alta intorno ai quarantacinque-cinquantacinque centimetri, la si prendeva per i due braccioli laterali attaccati verticalmente all’ampia bocca, allungata e circolare, e con uno scatto fulmineo, con le mani e con le braccia, proiettato verso l’alto, la si deponeva sulla testa e, poi, la si poteva così trasportare nelle abitazioni. Sulla testa, per base di appoggio, era pronta, posizionata, la famosa sparra attorcigliata, in forma circolare, di tessuti vari, per attutire l’appoggio, per ammortizzare il peso della stessa quartara, per effettuare in sicurezza ed in equilibrio il percorso da compiere.

Per porre la quartara sul capo vi era un enorme problema da risolvere: se la donna era giovane ed energica poteva, con un unico slancio verso l’alto, deporla sulla propria testa. Oppure poteva farsi aiutare, oppure, ancora, con il primo movimento verso l’alto, veniva sollevata e la si adagiava sulla colonna spezzata, posta a mezza altezza, tra la base della fontana e la testa della donna in procinto di allontanarsi; poi, con un secondo movimento, la si deponeva sul capo protetto dalla sparra attorcigliata con forma circolare uniforme alla base della quartara. Queste scene sono ancora vive, nitide, impresse nella nostra mente. Queste situazioni accadevano così, e così si sono protratte sino alla metà degli anni Sessanta, allorquando il Paese è stato dotato di acquedotto pubblico, con allacciamenti idrici nelle abitazioni delle famiglie pietrelcinesi.

Siccome la fontana pubblica centrale, più frequentata dalla popolazione, era quella di via San Paolo, lì si pensò di posizionare la famosa Colonna spezzata pietrelcinese, per facilitare, in sicurezza, l’operazione di sollevamento delle quartare sulla testa delle donne. Ricordiamo ancora le lunghe file di quartare accanto alla Canonica, in procinto di essere riempite, in modo particolare nei periodi estivi in cui imperversava, nei mesi di luglio, di agosto e d’inizio settembre, la siccità e la rispettiva pressione dell’acqua che giungeva era ridotta al minimo.

L’acqua proveniva dalle sorgenti allocate a monte di Fontana Messura, quindi dall’interno delle pendici nord-est della collina della Barrata,e così veniva convogliata nel serbatoio di via San Giuseppe, poi, con un percorso fatto di tubi, arrivava in via San Paolo e nella altre fontane ubicate in altri quartieri. Percorso che si snodava tutto in leggera discesa. La Colonna spezzata sta ancora lì, dicevamo poco innanzi, sul lato destro, della fontana, e da qualche anno, sul lato sinistro del monumento bronzeo di Padre Pio. E’ una colonna particolare, molto funzionale, scolpita a regola d’arte, è unica per struttura, per composizione, per la natura della pietra: bianca.

E’ alta oltre mezzo metro, con esattezza 60 cm. compreso il basamento di 3-4 cm. di altezza; ha forma ottagonale con diametro di venti centimetri. La base superiore è inclinata verso l’interno, verso il muretto adiacente, che sorregge la stradina che conduce alla ex proprietà Cardone della signorile famiglia latifondista di via prof. Masone, oggi porta, attraversando il portone sormontato dalla veranda con colonnato, al piazzale Giovanni Paolo II, adibito a parcheggio pubblico. Il piano superiore è inclinato verso l’interno, per non permettere lo scivolamento verso l’esterno della quartara collocatavi su in attesa di essere deposta sul capo.

Quindi, colonna funzionale al sollevamento, in sicurezza, della quartara. Ma tutto questo non ha escluso del tutto cadute di quartare, non ha evitato risate da un lato ed amarezze, sconforto dall’altro versante. Bastava un attimo di esitazione, di incertezza, di distrazione che lo scatafascio veniva compiuto, realizzato. Di essa restavano i cocci da raccogliere e da smaltire. Ma siamo davanti a casi limiti. L’autore della Colonna spezzata è l’artista scalpellino Ennio Rossi, figlio d’arte dell’antenato Michele Rossi.

ANTONIO FLORIO 

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