Comune, padroni e sotto In primo piano

C’è un limite a tutto. La libertà di espressione è garantita ad ognuno dalla Costituzione. Non è in discussione, quindi, la libertà di chicchessia di manifestare opinioni e pensieri nei confronti di persone e istituzioni.

Il problema si pone quando una certa parte avanza l’idea che non a tutti sia consentito di affrontare certi argomenti. Che sia consentito, peraltro, una volta ottenuto il consenso, solo il suono di musiche ben accordate.

In una certa Campania, e nel Sannio che di tale Campania è provincia organica, sembra approdata una repubblica ad appartenenza obbligata. Qualunque dissenso non solo non è gradito, ma è addirittura non riconosciuto come possibile.

C’è tutta una letteratura, ormai, che si potrebbe riassumere in un testo legislativo.

Funziona così. Un povero diavolo scrive pensieri e fatterelli osando chiedere, poniamo al sindaco, una risposta. Capita che chi compila la risposta parta da un presupposto: che chi si rivolge al sindaco sia almeno sindaco anche lui. Come si permette un Tizio qualsiasi di incomodare una persona che dedica tutto il suo tempo al bene pubblico, ma che soprattutto ha un curriculum al quale nessuno può far riferimento.

Partendo da questo assioma, un Corona qualsiasi non potrebbe chieder conto di come si è svolta una vicenda, di quanto sia costato di danaro pubblico, chi l’abbia autorizzata e chi abbia posto mano alla cassa comunale. Il Corona del caso è un notorio “osso duro”, conosce e conserva “le carte”. Obiettivamente è uno che dà fastidio, di tal fatta ce ne sono pochi e la corte del Capo non si capacita come non abbia capito che incensare si può, ma fare domande con la pretesa di avere titolo a una risposta come dovere dall’altra parte è talmente impensabile che si arriva a promettere querele. Cioè io, sia pure col chiaro proposito di rompere le scatole, domando al sindaco chi gli paga un viaggio con la macchina e l’autista del Comune, debbo “accontentarmi” di una querela. Non tanto qui si pensa che sarà il giudice a sapere la verità e se del caso manderà una lettera al rompicoglioni; ma sottintende che di certi argomenti è fatto divieto di impicciarsi. Siamo cioè alla fantastica filosofia del marchese del grillo: io so’ io e voi non siete un c..zo.

Donde nasca questa distorsione non è difficile comprendere ove si consideri lo stile dei suoi adoratori. Per farsene (dello stile) un’idea basta sfogliare i comunicati che la stampa educatamente pubblica. Un assessore o un vicedirigente di paese per prima cosa propone una esaltazione del Capo e poi si concede di ammonire che non si permetta più. Succede che spesso la cosa funziona: difatti vedete passare da quella parte un sacco di gente di valore, proprio con la medaglia al valore della soccombenza. E dopo avere subìto si riscatta vomitando sui residui estranei le cose che ha subito. Il lavaggio del cervello fa di questi scherzi.

Ora a noi che ci siano in giro professionisti della adulazione e del servilismo non ci fa né caldo e né freddo. Vorremmo dire, però, che la carica coperta è un prodotto della democrazia, cioè di quel sistema che affida al popolo l’incarico di assegnare a qualcuno di andare a fare un certo lavoro nell’interesse di esso popolo. E’ il popolo il datore di lavoro del sindaco, insomma! Il che non significa che, come ogni datore di lavoro, non debba rispettare il “dipendente”. Significa piuttosto che il “dipendente” non debba dimenticare i confini del suo posto e il debito da lui contratto con la elezione. Giacché di debito vero si tratta, perché tutta la macchina comunale e ciò che impegna in spese proviene dalle tasche dei cittadini che pagano le tasse. Pagandole anche per chi evade, gli elettori paganti sono i veri padroni legittimati ad esprimere desideri, a dare giudizi e a pretendere risposte.

Clemente Mastella, per formazione ed esperienza, non può essere stato contagiato a tal punto da Vincenzo De Luca da somigliargli come fosse una sua emanazione. Che è potuto succedere? In fin dei conti ha vinto le elezioni, può governare altri cinque anni. Può portare a termine “tutto quello” che ha messo in cantiere nei primi cinque. Perché mai un Corona qualunque gli fa perdere la calma? Non immagina che il Corona del caso proprio quello vuole?

Dove è andata a finire l’arte sopraffina della dissimulazione dei sentimenti nei politici che ha frequentato?

Però, signor sindaco, non vede che il suo modo di fare non convince Corona, ma convince quelli che dovrebbero essere i più solerti lavoratori e invece se ne stanno con le mani in mano. La prendono così alla lettera come tuttofare, che danno l’idea di non pensare a niente. Che so, convocare il consiglio comunale. O almeno uniformare la carta intestata di dirigenti e assessori scrivendo Comune di Benevento e non Città di Benevento. Anche se Città di Benevento personalmente mi è cara perché, quando Luigi Formichella nel 1973 fece, col maestro Gerardo Garofalo, il Gran Concerto Bandistico Città di Benevento mi scrisse sul manifesto come presidente.

MARIO PEDICINI