Intelligenza artificiale o deficienza naturale? In primo piano

Il piccolo tribunale di Vattelapesca non sfugge al vizio atavico della giustizia umana: il non far oggi quello che puoi far (fare agli altri) domani.

Il dilemma assale il giudicante come il pendolo che oscilla fra l’indecisione della decisione e la decisione dell’indecisione.

La sentenza deve invecchiare nelle aule del tribunale per assumere sapore, come il buon vino nelle botti di rovere; solo che, a volte, il tempo gioca brutti scherzi, viene a mancare quando meno te lo aspetti ed allora il giudizio diviene omerico, come l’ira funesta del pelide Achille.

Insomma, i giudici cambiano di ruolo e si scambiano i ruoli ed il Monopoli del processo continua: un passo avanti e due indietro con la speranza di non dover andare in prigione … e star fermo un giro. Si aspira ad arrivare al Parco della Vittoria, ma si resta al Vicolo Corto.

I giochi pirotecnici del legislatore, - mediazione, negoziazione, e via scartabellando (ogni riferimento alla riforma Cartabia è chiaramente voluto), - hanno finito per arenare i processi, centrando involontariamente l’aspirata funzione deflattiva. Oggi o si parte con il freno a mano o non si parte.

Quando la nave sembra essere irrimediabilmente in bonaccia un vento nuovo spira nelle vele della giustizia: l’AI.

L’AI, acronimo di Artificial Intelligence, Intelligenza Artificiale (ma in inglese fa più effetto), è un sistema capace di apprendere in modo automatico e profondo, di processare una grandissima quantità di dati e di consentire la risoluzione dei problemi.

Per farla breve: l’AI è la ricerca dell’uomo di clonazione delle sue capacità cognitive: il ragionamento, l’apprendimento, la comunicazione, la decisione.

Insomma, una tecnologia destinata a cambiare la vita, compresa quella giudiziaria.

Così, mentre il vertice della magistratura locale ed il consiglio dell’ordine degli avvocati di Vattelapesca, con comportamento coerente e sedimentato negli anni, si limitano ad ignorare il problema, alcuni avvocati e magistrati interessati all’evoluzione del fenomeno si scontrano in schieramenti contrapposti, novelli guelfi e ghibellini.

Gli uni sostengono che siamo alle soglie di un Rinascimento giudiziario; gli altri, affermano che siamo arrivati al de profundis della giustizia.

L’avvocato Innovato Connesso ed il giudice Tecnologico Evoluto sono entusiasti ed affermano:

Basterà inserire dei mega dati con normative e decisioni relative alle fattispecie ed il sistema, come per incanto, ci darà la soluzione.

Gli avvocati potranno elaborare pareri, contratti, atti giudiziari, arbitrati, con buon livello di approssimazione, sulla base di dati storici e statistici inseriti nel sistema di AI.

I magistrati potranno velocizzare l’analisi di grandi quantità di atti e documenti, elaborare in tempi brevissimi le decisioni sulla base dei precedenti (c.d. giustizia predittiva), facilitare le conversazioni con gli avvocati ed i cittadini tramite un assistente virtuale (c.d. chat box) e gli strumenti di messaggistica on line”.

L’avvocato Conservo Artigiano ed il giudice Penso Autonomo manifestano il loro disappunto e ribattono:

Le cose sono peggiorate a partire dall’avvento dei sistemi di video scrittura, delle banche dati fisiche ed on line, dei siti web.

E’ invalso l’abuso del copia e incolla, l’estrapolazione delle parti di atti e di decisioni, spesso decontestualizzati e fuori tema.

Insomma, si è perso il coraggio del proprio pensiero preferendo prendere in prestito quello degli altri: il pensiero pret a porter”.

Il confronto scalda gli animi ed il capannello si allarga a nuovi partecipanti mentre passa l’avvocato Saggio Decano, la cui autorevolezza ed ironia è patrimonio del foro.

Lo fermano, gli spiegano la questione e chiedono un suo ponderato parere.

L’anziano avvocato ascolta senza interrompere e, come Sibilla Cumana, risponde:

Il mezzo non è il fine. Il fine non è il mezzo”.

Fa una pausa di riflessione, quale consumato attore abituato a calcare il palcoscenico, e con sorriso accennato continua:

Esco fuori di metafora.

Ho cominciato la professione quando i fascicoli si rilegavano con filo rosso, le macchine da scrivere erano meccaniche, le copie degli atti si facevano con la carta carbone, le ricerche giurisprudenziali in ore ed ore chini su massimari cartacei. Ho avuto la fortuna di vedere l’avvento della fotocopiatrice, della spillatrice, delle macchine da scrivere elettriche, del fax. Successivamente, del computer, del data base con la giurisprudenza, dei programmi di video scrittura e di gestione dello studio, di internet. Oggi, della posta elettronica certificata, della firma digitale, del processo telematico.

Tutte cose utili a supporto dell’attività dell’avvocato e di quella del giudice.

Ma ho sempre utilizzato il più grande data base che esiste: il cervello.

L’unico data base insostituibile, troppo spesso sottoutilizzato, arricchito da elementi che soltanto l’intelligenza umana ha: la creatività, la fantasia, l’immaginazione, al di là ed oltre ogni razionalità.

Dalla loro strana combinazione astrale, nel corso dei secoli, è nato e nasce qualche volta il genio; Leonardo Da Vinci docet. Evento assolutamente non prevedibile, non replicabile, non omologabile. Miracolo dell’umanità.

Sono sicuro che l’intelligenza artificiale servirà per organizzare meglio la giustizia, ma non sarà la giustizia. Quella è prerogativa dell’uomo.

Semmai il tema vero consiste nell’individuarne limiti e pericoli prima che ci travolga”.

Visto l’interesse suscitato nell’uditorio non rinunzia ad una chiusura sarcastica:

La cosa simpatica è che si potranno incontrare avvocati e giudici dotati di intelligenza … artificiale, con la speranza di non dover rimpiangere quelli muniti di deficienza … naturale”.

Una corale risata scioglie la seduta, ed ognuno se ne va con il dubbio che l’avvocato Decano si riferisse a lui.

Il dubbio, ecco la molla insostituibile che spinge l’uomo e che nessun programma evoluto potrà mai sostituire.

UGO CAMPESE