Bella la lingua italiana! Molto meno l'itang'liano... Società

La decisione di tenere corsi universitari e scolastici soltanto in inglese è il primo grave indizio di un arretramento dell’italiano come lingua di cultura. A denunciarlo è il presidente dell’Accademia della Crusca, Paolo D’Achille, il quale in una lettera indirizzata al rettore dell’Università di Bologna, Giovanni Molari, e alla ministra dell’università e della ricerca scientifica, Anna Maria Bernini, ne evidenzia il rischio come lingua tout court una volta privata di settori fondamentali come i linguaggi tecnici e settoriali. Intanto lo studio dell’inglese, per familiarizzare con la lingua, si va estendendo al nido e alla materna.

Possiamo criticare quanto vogliamo la grandeur francese, ma lì invece gli scolari riempiono ogni giorno una paginetta con tutti i vocaboli francesi. I termini itanglese e itangliano sono stati coniati per indicare un italiano in maniera forte influenzato dall’inglese, caratterizzato dalla preponderante presenza di parole ed espressioni inglesi o, ancora più spesso, angloamericane.

Per molto tempo gli studiosi sono stati cauti sull’argomento, a pesare il ricordo della politica autarchica del fascismo, tanto ostile alle lingue straniere da giungere a multare chi usava parole straniere in luoghi pubblici o costringere le minoranze linguistiche a modificare, italianizzandolo, il proprio cognome. Oggi però la situazione è diversa. Le parole che ogni anno entrano nella nostra lingua sono in continua crescita.

Solo a novembre 2023 il dizionario Treccani registrava booktok, challenge, deinfluencing, diversity editor, downburst, e-fuel, European green deal, famiglia queer, pull factor, skin shaming e, dulcis in fundounderdog usata dalla presidente del Consiglio dei ministri nello storico discorso per la fiducia tenuto alla Camera dei deputati che consegnò all’Italia il primo premier donna.

Il lemma underdog è già attestato in una cronaca di Edoardo Depuri sul quotidiano La Stampa del 4 novembre 1948. A dimostrazione di quanto sia pervasivo l’inglese, ecco quanto riporta l’Accademia della Crusca: «Come il premier inglese non è previsto, né nel nome né nei poteri e nei ruoli, dalla nostra Costituzione, così i governatori non hanno posto nel nostro ordinamento. In Italia, l’unico a potersi fregiare di questo titolo è il governatore della Banca d’Italia. In campo politico-istituzionale, questo titolo designa quasi sempre il capo di governo di uno Stato inserito in una federazione, come negli Usa. I giornalisti lo hanno attribuito ai presidenti delle nostre Regioni, che però non lo sono, anche perché non è uno stato confederato con altri quello di cui presiedono il governo».

L’inglese è formidabile, ma è un’altra lingua. Il costrutto grazie per non fumare, di cui si è molto parlato a suo tempo perché compariva negli aeroporti, è meglio non usarlo; sintatticamente, è un calco dall’inglese thank you for not smoking. In italiano invece la costruzione normale è «grazie di + infinito presente» («grazie di esistere»); se l’infinito è passato, vanno bene sia grazie di sia grazie per grazie di essere rimasto al mio fianco», «grazie per avermi aspettato»).

L’abuso poi della lingua inglese in campo economico-finanziario fa ridere tutti: meno gli interessati. Già nel 1977 Roberto Vacca, nel suo Parliamo Itang’liano, metteva in guardia verso la rapida e grottesca americanizzazione del mondo degli affari (e non solo). Nel risvolto di copertina metteva questa frase, ripresa in un articolo per il Sole-24 Ore (7 giugno 2007), segno che in quasi cinquant’anni non è cambiato niente: «Mi rifiuto di passare all’implementation se non ho processato i raw-data. Io sono outspoken!». Chi invece vuol rendersi comprensibile a tutti scriverà: «Mi rifiuto di passare alla fase operativa se non sono stati elaborati i dati di base. Io sono schietto!».

Quando scriviamo in italiano, cerchiamo di usare parole italiane. Non si tratta di atteggiarsi a puristi, si tratta di non diventare pigri, prevedibili o, peggio, ridicoli.

GIANCARLO SCARAMUZZO

giancarloscaramuzzo@libero.it