Covid-19: così l'umorismo corre sui social Società

Il Coronavirus? Senza dubbio è diventato virale. Perdonatemi se esordisco con questa battuta di dubbio gusto, ma è per sdrammatizzare in un momento in cui il paese sembra precipitato in una forma di psicosi di massa.

Il Covid-19, questo il nome ufficiale del virus che dalla Cina è arrivato anche in Italia il mese scorso, è ormai il protagonista delle prime pagine di tutti i quotidiani e dei servizi d’apertura di ogni telegiornale. La Lombardia ed il Veneto sono diventate zone off limits, che le ambasciate straniere consigliano di evitare a tutti i costi al pari delle peggiori zone di guerra in Medio Oriente. Il paese di Codogno, nel Lodigiano, è ormai il cuore delle nostre peggiori paure.

Questa è la prima epidemia globale dell’era social. Non è mortale come la peste manzoniana e nemmeno come il virus Ebola, che ha colpito diverse nazioni africane appena due anni fa, senza per fortuna raggiungere il continente europeo. Ma non è così strano che, in una società dalle distanze sempre più corte, dove i voli transcontinentali permettono di raggiungere qualsiasi angolo del globo nel giro di ventiquattro ore, una malattia si diffonda in tutti i continenti in un arco di tempo relativamente breve.

Più imprevedibili sono state invece le reazioni degli italiani di fronte al diffondersi, finora contenuto, di questo virus. Nelle regioni più colpite, le scuole sono state chiuse, così come cinema, teatri, bar e altri luoghi d’aggregazione. Sono state rinviate diverse partite di calcio, al pari di altri eventi sportivi. Alcune fiere o manifestazioni pubbliche hanno subito rinvii o addirittura cancellazioni.

In alcune città del nord i supermercati sono stati presi d’assalto e in molti hanno fatto incetta di beni di prima necessità, dai cibi in scatola alla carta igienica, come se prevedessero di doversi rintanare in casa per settimane o forse mesi. Quando invece gli esperti rammentano che, sebbene non esista tuttora una cura contro il virus, il suo tasso di mortalità è inferiore a quello di un’influenza stagionale. Finora infatti i morti a causa del Coronavirus in Italia sono persone non solo anziane, ma che soffrivano già in precedenza di altre gravi sindromi o malattie.

La rete in questo frangente può ancora una volta rivelarsi un’arma a doppio taglio: da un lato può consentire ai cittadini un’informazione precisa e tempestiva sulla diffusione del virus e sui provvedimenti adottati dalle autorità. Allo stesso tempo però internet e i social sono il canale più immediato in cui far circolare fake news sulla reale gravità del virus, sull’espandersi del contagio, sulla sua origine (in molti sono convinti che il Covid-19 sia stato creato artificialmente in un laboratorio cinese come arma batteriologica e si sia poi diffuso per l’imperizia degli scienziati al soldo del governo) e persino su eventuali rimedi improvvisati del tutto privi d’efficacia.

Ancora peggio, la rete si fa veicolo per l’odio contro i cosiddetti untori del nuovo millennio, in un’ennesima forma di xenofobia contro i portatori di malattie provenienti dall’Asia o, perché no, dall’Africa.

Per fortuna, come spesso capita, i social sono anche veicolo di un sano umorismo, atto a sdrammatizzare persino una vicenda dai contorni allarmanti come quella del Coronavirus. Simpatici meme, video e battute sono condivisi ogni giorno, come le foto degli scaffali dei supermercati vuoti, ad eccezione delle confezioni di penne lisce, che evidentemente non piacciono a nessuno. Una canzone di un cartone animato che elenca uno ad uno tutti i paesi del mondo è diventata uno sfottò per indicare dove sono stati gli abitanti di Codogno nell’ultimo mese. E di fronte alla notizia che uno dei sintomi del Coronavirus è l’inappetenza, in molti hanno tirato un sospiro di sollievo.

Non so se una risata ci seppellirà, ma in ogni caso è preferibile all’eventualità che a seppellirci sia un virus. Oltretutto made in China.

CARLO DELASSO