La cupeta dei fidanzati e le stecche di torrone di legno Società

Breve premessa

Qualche anno fa partecipai ad un pranzo di beneficenza organizzato in periodo natalizio dall’associazione di volontariato Anteas Sannio Solidarietà, allora presieduta dal vulcanico Emilio Tirelli.

In quella occasione ebbi modo di conoscere ed apprezzare la verve narrativa di Ottavio Pietrantonio, classe 1941, beneventano doc, che con i suoi modi simpatici e travolgenti coadiuvò l’ottima riuscita della conviviale raccontando barzellette, ma soprattutto narrando alcuni aneddoti e tradizioni della Benevento anni Cinquanta, che qui vogliamo riproporvi.

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Natale ‘e ‘na vota

L’attesa delle festività natalizie ha subito negli ultimi anni un radicale cambiamento dovuto, secondo gli esperti, all’eccessivo consumismo cui la società è stata abituata.

Pertanto, è sempre più forte in noi sessantenni la nostalgia degli anni ‘50 quando l’attesa iniziava l’8 dicembre, giorno in cui si aprivano gli scatoloni dei pastori, rigorosamente di cartapesta, per la preparazione del presepe.

Il giorno 13, festività di Santa Lucia, si attendeva con ansia la “cupeta” inviata dal fabbricante di fiducia per far provare la qualità del torrone che avrebbe prodotto per il Natale.

La tradizione voleva che i fidanzati, nello stesso giorno, si scambiassero la “cupeta” in segno d’amore eterno.

Il giorno 15, per noi ragazzini, l’attesa raggiungeva il massimo per l’arrivo degli zampognari che, fin dalle prime luci dell’alba, iniziavano la novena, presso le famiglie che - nel mese di novembre - avevano stipulato l’accordo.

Il primo suono della ciaramella era per noi come una sveglia militare, perché ci trovavamo tutti in strada pronti a seguire gli zampognari fino all’ora d’entrata a scuola.

La sera della vigilia rappresentava il momento culminante con la lettura della letterina ai genitori e con il posizionamento, nel presepe, del bambino Gesù, tra una pioggia di stelle filanti e il solito canto che, malgrado il momento mistico, finiva sempre con una risata a causa di qualche cantante eccessivamente stonato. (il Quaderno - n. 285).

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E stecche ‘e turrone

Durante il periodo natalizio, le vetrine dei venditori di torrone si sbizzarrivano ad esporre tutti i tipi della loro produzione, di tutte le grandezze.

A noi ragazzi non restava che schiacciare il naso sulle vetrine ad ammirare e sognare una bella mangiata di quella leccornia tanto desiderata. Un giorno, però, il sogno stava per diventare realtà. Il fatto successe alcuni giorni dopo la tremenda alluvione del 1949. Tutti i negozi del Rione Ferrovia furono allagati; noi ragazzi ci prodigavamo a dare un aiuto per spalare l’enorme fango lasciato dal fiume Calore.

Quando arrivò il turno delle Fabbriche Riunite Torrone di Benevento, con grande gioia scoprimmo, in uno stabile rimasto indenne dalla furia delle acque, alcune stecche di torrone di enorme grandezza.

Immediatamente, i lavori furono sospesi e, lasciati gli attrezzi per spalare, scappammo con il tesoro trovato, verso il nostro rifugio, al riparo da qualsiasi curioso. Una volta giunti a destinazione aprimmo velocemente la stecca, pregustando una grande scorpacciata.

Purtroppo, però, il sogno non si avverò: con profonda delusione scoprimmo che le stecche di torrone erano di legno e servivano solo per fare bella mostra nella vetrina, durante il periodo natalizio.

Ritornammo velocemente al lavoro, maledicendo ancora una volta il Calore per la sua ingratitudine nel salvare i prodotti falsi, portandosi con le acque quelli buoni! (il Quaderno - n. 327).

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Breve conclusione

Questi tasselli di microstoria cittadina sono stati tratti dal volume “L’erba ‘ntrattiena - Cento cunti e un quartiere”, ovvero, la raccolta di cento articoli scritti da Ottavio Pietrantonio e pubblicati sulle pagine del settimanale “il Quaderno” (dal 2002 al 2004) grazie all’input del direttore dell’epoca Carlo Panella.

Il libro, pressoché introvabile, mi è stato gentilmente prestato dl “nostro” editorialista Mario Pedicini e devo dire che l’ho letto davvero in un baleno.

Sarebbe bello se venisse ristampato, perché i “cunti” di Pietrantonio descrivono, con una miriade di ricordi, la Benevento degli anni ‘50 - 60.

Un materiale prezioso da far conoscere alle nuove generazioni, perché se c’è una cosa che oramai ci distingue e ci identifica in questo mondo sempre più omologato e globalizzato, che ci vuole tutti uguali come pedine di un gioco immenso, sono proprio le nostre tradizioni, i nostri usi e i nostri costumi.

La bellezza salverà il mondo” scrisse Dostoevskij, ma la bellezza sta anche in tante piccole cose, come i cento cunti di Ottavio Pietrantonio.

ANNAMARIA GANGALE

annamariagangale@hotmail.it