L'accesso alla rete diritto fondamentale dell'uomo Società

In un discorso recente, il presidente degli Stati Uniti Obama si è espresso pubblicamente in favore della neutralità della rete. Cosa significa quest’espressione, ha per caso a che fare con i conflitti che ormai da tredici anni infiammano il Medio Oriente e che il succitato Obama non è riuscito suo malgrado ad arginare? Niente di tutto ciò: la neutralità della rete non ha a che vedere con le guerre, è più un concetto che riguarda la parità di diritti tra individui che si trovano in condizioni economiche differenti.

Per comprendere appieno l’espressione “neutralità della rete”, bisogna innanzitutto tenere presente il fatto che, nel momento in cui scrivo, oltre la metà della popolazione mondiale non ha accesso ad una connessione ad internet (si tratta principalmente delle popolazioni che vivono in Africa, Medio Oriente e nelle zone più povere dell’Asia e del sud America), mentre un’altra fetta molto ampia non può disporre di connessioni ad alta velocità oppure ha un accesso limitato perché vive in paesi dove la rete subisce delle forme più o meno esplicite di censura di Stato (ad esempio in Cina, Corea del Nord ed in molti paesi non esattamente democratici del Medio Oriente e dell’America Latina, ma anche in Russia).

Fatta questa premessa, possiamo renderci conto quindi che chi vive nei paesi europei o in America del nord, Giappone, Australia o nelle nazioni emergenti (e democratiche) è sotto certi aspetti un privilegiato. Eppure, il discorso di Obama vale anche per noi: la neutralità della rete può essere minacciata anche nelle democrazie occidentali. In che modo? Semplicemente, discriminando l’accessibilità di certi contenuti a seconda del fatto che si possa pagare o meno.

Con questo non voglio dire che è una forma di discriminazione pretendere che si paghi per guardare un film o per scaricare la musica, ma che i gestori dei servizi in rete non possono creare corsie preferenziali per chi è disposto a pagare e connessioni più lente o con contenuti limitati per gli utenti meno abbienti.

Un esempio recente di discriminazione è la nascita, appena poche settimane fa, del servizio di Youtube che consente, tramite il pagamento di un abbonamento, di guardare i video sul sito senza dover subire gli spot pubblicitari, che invece rimangono per coloro i quali non sottoscrivono tale abbonamento. Sembra una bazzecola, ma è un primo colpo al concetto di neutralità della rete.

Youtube poi appartiene a Google, il principale motore di ricerca al mondo, con il quale attualmente l’Unione Europea ha aperto un contenzioso in cui chiede che il colosso statunitense separi l’attività di motore di ricerca dalla sua parte commerciale.

Se consideriamo il fatto che, mentre negli Stati Uniti il 60% delle ricerche eseguite dagli utenti in rete avviene attraverso Google, nei paesi europei tale quota sfiora ed in alcuni casi addirittura supera il 90%, ci rendiamo conto che Google, mantenendo in memoria tutte le ricerche effettuate ed abbinandole ai singoli utenti (anche tramite i cookies, che s’insinuano silenziosamente nei nostri pc), può tracciare un identikit preciso dei gusti e delle preferenze di ciascuno, creando dei profili e suggerendo ad ognuno tramite la sua parte commerciale di effettuare degli acquisti mirati. In tal modo, in maniera subdola e quasi senza rendercene conto, veniamo indotti a comprare online cose che non ci servono davvero, ma che sono state individuate in base alle nostre passate ricerche.

La morale della storia, alla fine dei conti, è che la neutralità della rete è un argomento sul quale non possiamo ritenerci neutrali.

Saluti dalla plancia,

CARLO DELASSO

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