L'Unione Europea mito di pace Società

Il Presidente del Comitato storico-scientifico per gli anniversari nazionali, Franco Marini, ha approfondito le cause e gli effetti devastanti della Grande Guerra 1914-1918, riassunto i germi ideologici che acuirono i contrasti geo-politici tra gli Stati europei. Egli ha richiamato il monito di Papa Francesco sul sagrato militare di Redipuglia ed altri momenti significativi del suo pontificato sugli orrori della guerra. Al termine dell’intervista rilasciata per i lettori di Realtà Sannita, lascia alle future generazioni una testimonianza accorata con un’espressione, intrisa di valori fondamentali per l’esistenza “conoscere la guerra per amare la pace”.

Il secolo breve prefigurava orizzonti di pace e di rinnovata speranza. Quali furono i germi ideologici che acuirono i contrasti negli scenari geo-politici, per affermare la supremazia tra gli Stati europei?

«Agli inizi del Novecento dire Europa equivaleva a dire mondo. Perciò, nonostante esistessero aree calde - penso al conflitto russo/giapponese tra il 1904 ed il 1905 o alle tensioni nelle zone coloniali - il mondo era in pace. Quando il 29 luglio del '14 i cannoni austroungarici aprono il fuoco su Belgrado saranno trascorsi 43 anni dall'ultimo conflitto che aveva insanguinato il vecchio continente, quella guerra franco prussiana durata pochi mesi e costata in vite umane meno della metà del milione di soldati morti sul fronte occidentale già entro dicembre del '14. Da poco meno di 50 anni, dunque, l'Europa prosperava come mai prima nella sua vicenda storica: sviluppo economico, innovazioni tecnologiche, diffusione di standard di vita degni di questo nome anche nelle classi del proletariato urbano e nelle campagne, grande spazio alla cultura ed alle nuove manifestazioni artistiche come il cinematografo. All'esposizione universale di Parigi che celebra il passaggio al nuovo secolo si contano 50 milioni di visitatori ad ammirare gli stand di 58 paesi. Sarà ricordata come la Belle Epoque. A rompere questo equilibrio provvedono diversi elementi: la lotta per la supremazia coloniale tra Gran Bretagna e la nuova potenza economico militare tedesca; il desiderio di spartirsi le spoglie dell'impero ottomano, già da qualche tempo considerato “il grande malato d'Europa”; il timore della corte di Vienna per l'unità dell'impero, attraversato da tentazioni indipendentiste e autonomiste. Se ci si avventura a riassumere in una parola la temperie delle ragioni che scatenarono la Grande Guerra questa è senza dubbio azionalismo. E, comunque, non si può dimenticare che le elites di tutte le nazioni agirono - secondo la appropriata formula coniata dallo storico inglese Christopher Clark - come “sonnambuli”, incapaci cioè di vedere il mosaico che singoli atti e decisioni stavano componendo, quella gigantesca fornace che avrebbe ingoiato quindici milioni di uomini e mutato per sempre il destino dell'umanità».

Presidente Marini la profezia di Jean de Bloch, nel 1897, espressa in uno dei sei volumi “La guerre future” fu inascoltata. Egli affermava:” Una cosa è certa: una futura guerra europea sconvolgerà il continente …”. Perché l’imprenditore polacco colse nel segno?

«Colse nel segno e non fu l'unico. Posso aggiungere, ad esempio, che nel 1895 il francese Frederic Passy, poi Nobel per la Pace, avvertiva: “un incidente imprevisto, un caso ineluttabile perché le scintille cadano in un attimo su quei mucchi di materiale infiammabile che si stanno follemente ammassando... e facciano saltare in aria, fino al cielo, tutta l'Europa”. Si riferiva alla cosiddetta corsa agli armamenti. Anche qui, se vogliamo provare a condensare con una sola parola fenomeni e mutamenti che avrebbero determinato la “grandezza”, cioè l'estensione mondiale di una nuova guerra, userei un termine oggi molto in uso: globalizzazione. Gli affari, i commerci, le produzioni, i movimenti finanziari, gli spostamenti, le comunicazioni (il primo segnale radio transoceanico viene lanciato da Guglielmo Marconi nel 1901), i viaggi di uomini e donne non più appartenenti solo alla nobiltà o alla grande borghesia avevano creato un nuovo mondo, oggi diremmo interconnesso, comunque distante e diverso decisamente da quello conosciuto, per secoli, fino alla metà degli anni '50 dell'Ottocento: questo aveva generato rapporti speciali tra gli Stati a loro volta codificati con trattati diplomatici e militari. Insomma nel nuovo secolo non era più possibile immaginare un nuovo conflitto come la guerra franco/prussiana del 1870/1871. Per questo la scintilla di Sarajevo incendiò il mondo».

Dalla guerra totale e tecnologica del 1914-1918 ai conflitti del nostro tempo, come sono cambiati i cosiddetti “Teatri di Guerra” ?

«Qui dovrebbe rispondere un esperto di cose militari. Posso dire che, a partire dal primo conflitto mondiale, nonostante il numero inferiore di vittime civili rispetto a quelle militari - si calcolano 6/7 milioni di civili e poco meno di 10 milioni di militari - sta proprio qui il dato di novità rispetto al passato poi allargatosi in maniera esponenziale nei conflitti successivi: la guerra non era più solo una cosa di soldati e tra soldati, fanti o marinai che fossero, ma si estende ai civili e cioè alle donne, ai bambini, agli anziani. Basta ricordare che dei 55 milioni di morti tra il '39 ed il '45 almeno 30 non indossavano la divisa. Da quella strada non si è più tornati dietro».

Il Santo Padre Francesco sul sagrato di Redipuglia ha definito: “La guerra una follia”. L’umanità dalla lezione della storia ha maturato nella memoria collettiva il monito accorato del Vicario di Cristo in occasione del Centenario della Grande Guerra?

«Il Papa ha mostrato di sentire profondamente questa questione. Noi abbiamo condiviso, giustamente, con più adesione la visita e le parole pronunciate al sacrario di Redipuglia dove è andato “pellegrino, per pregare per i caduti di tutte le guerre”. Ma il suo pontificato è denso di interventi e richiami. Di ritorno dal viaggio in Corea, in agosto, papa Francesco affermava con nettezza che “è in atto una terza guerra mondiale, ma a pezzi”. E, per rispondere alla sua domanda, è lo stesso Papa a temere che la lezione sia lungi dall'essere stata appresa allorchè, nella conferenza stampa improvvisata sull'aereo che lo riportava a Roma da Seul, diceva che “dobbiamo fermarci a pensare al livello di crudeltà al quale siamo arrivati. Il livello di crudeltà dell'umanità in questo momento fa piuttosto spaventare”».

Presidente Marini perché ha deciso di presiedere il Comitato storico scientifico per gli anniversari nazionali e quale testimonianza vuole lasciare alle future generazioni, affinché gli orrori della guerra non si ripetano?

«Quando, un anno fa, mi è stata affidata dal governo Letta la presidenza del Comitato ho accettato ben volentieri, con l'obiettivo di contribuire alla diffusione e promozione dello spirito unitario del nostro Paese. Non va dimenticato che l'Italia che entra in guerra nel 1915 è uno stato giovanissimo, i 50 anni dall'unità erano stati festeggiati nel 1911, e quella prova, con i suoi smisurati costi umani (650mila morti, 950mila feriti e invalidi, 600mila tra prigionieri e dispersi), l'eccezionale trasformazione nella struttura sociale, produttiva e amministrativa, la mutazione profonda dell'architettura politica, l'eccezionale espansione e ruolo dei giornali e dell'informazione, insomma, quella prova segna indelebilmente la storia dell'Italia e la sua stessa identità. Io penso che il nostro compito sia diffondere questa conoscenza tra i giovani, ed anche i meno giovani. E poi ci sono altri due aspetti. Insisto molto sul verbo conoscere: uso spesso negli incontri pubblici un'espressione, “conoscere la guerra per amare la pace”. Penso che a noi tocchi anche questo dovere: allargare il sapere sugli eventi, sulle ragioni e le decisioni che scatenarono il conflitto, sugli orrori commessi, sulla cecità delle classi dirigenti; dobbiamo diffondere questa conoscenza perché serva a comprendere che c'è sempre un'alternativa alla guerra e questa porta il nome di pace. Infine c'è l'Europa. Nella prima guerra mondiale ci sono i prodromi e le cause della seconda che scoppierà nemmeno un quarto di secolo dopo. Occorrerà attendere la risoluta azione di alcuni grandi statisti come De Gasperi, Adenauer e Shumann, al termine di questo nuovo conflitto, perché prenda corpo l'idea di unire l'Europa, costruire una casa comune perché mai più potesse ripetersi la tragedia della “guerra civile europea”, come Alcide De Gasperi indicava i due conflitti mondiali. L'Unione europea quale mito di pace. Tra i paesi che hanno aderito alla casa comune il mito è divenuto realtà. Ma se questo è vero lo è altrettanto che l'Europa non riesce ancora a darsi un ruolo da protagonista sulla scena planetaria per far vincere la pace. Le vicende di questi mesi, dal riaffacciarsi dei fuochi di guerra in Medioriente agli esiti controversi delle primavere sulla sponda sud del Mediterraneo fino all'ultimo rischiosissimo scontro tra Russia e Ucraina, stanno lì a testimoniare l'assenza dell'Europa, la sua rinuncia ad agire come un soggetto coeso e non indebolito da una pluralità di interessi e mire nazionali. Su questo terreno è ancora lungo il percorso da compiere. E ancora con De Gasperi - sono parole del 1953 - forse dobbiamo dire che “l'Europa esiste ma è ancora incatenata. Per unire l'Europa vi è da edificare, da gettar via un mondo di pregiudizi, un mondo di paure”. Nel nostro piccolo vogliamo contribuire alla realizzazione di quel grande disegno di pace».

NICOLA MASTROCINQUE

nmastro5@gmail.com

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