Ora c'è una legge per il diritto all'oblio digitale Società

È stata necessaria una sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea, ma alla fine il colosso americano Google ha dovuto riconoscere l’esistenza del diritto all’oblio. D’ora in avanti, diversamente da quanto da me paventato in uno dei primi articoli di questa rubrica, ognuno di noi avrà la possibilità di far rimuovere dal motore di ricerca più usato al mondo quei risultati che risultano sgraditi o che in qualche modo possono nuocere alla propria reputazione.

Risale allo scorso 13 maggio la sentenza con la quale la Corte di Giustizia, esaminando la domanda di un cittadino spagnolo, ha riconosciuto l’obbligo per Google (che non è l’unico motore di ricerca al mondo, ma attualmente gestisce circa il 90% delle ricerche in rete) di rimuovere dai risultati della ricerca quelli che non sono più attuali o che possono risultare lesivi della privacy degli utenti.

Tale decisione non risolve del tutto il problema dell’oblio digitale: Google non può certo eliminare dalla rete tutti gli articoli del passato nei quali una persona è citata, può soltanto fare in modo che non possano più essere trovati tramite il suo motore di ricerca.

La questione vede due diversi interessi scontrarsi tra loro: il diritto alla privacy e quello all’informazione. Se è scontato che, anche dopo questa sentenza, personaggi di rilievo pubblico non potranno pretendere di vedere ripulita la loro reputazione online (nessun politico potrà pretendere che Google renda introvabili le notizie relative ad indagini giudiziarie, processi passati o accuse rivolte dalla magistratura, così come nessuna celebrità dello sport, della cultura o dello spettacolo potrà chiedere di far sparire dalla rete le prove di una scappatella extraconiugale), rimane la possibilità, per i comuni cittadini, di evitare che il proprio passato, spesso remoto, finisca per condizionare la vita attuale.

Chi è in cerca di un’occupazione non dovrà preoccuparsi che un potenziale datore di lavoro possa reperire su internet dichiarazioni imbarazzanti rilasciate molte anni prima; chi intraprende una nuova storia d’amore non correrà il rischio che il partner incappi in commenti poco piacevoli rilasciati da un ex. Ma gli esempi sono molteplici.

Certo, in questo modo si lascia ad un’azienda privata la discrezionalità relativamente a cosa lasciar sapere al mondo di noi: perché Google ha già messo a disposizione un modulo in rete da compilare per poter ottenere il lavaggio della reputazione online, ma i casi saranno valutati volta per volta e non da un software, bensì da una commissione appositamente costituita.

Prevedo che scatteranno le querele per molti di quei casi in cui un utente si vedrà negare la propria richiesta di cancellazione dei risultati di una ricerca.

Rimane infine un ultimo problema di fondo: se i risultati di una ricerca possono essere rimossi, rimarrà il fatto che chi condurrà tale ricerca su di una persona si troverà di fronte un muro. Non potrà venire a sapere cosa l’utente ha voluto cancellare, ma sarà a conoscenza del fatto che quella persona ha degli scheletri nell’armadio e che ha provveduto a renderli invisibili.

E questo non potrebbe nuocere alla propria reputazione in maniera altrettanto invadente, anzi persino di più dato che chiunque a questo punto potrà immaginare che dietro la richiesta dell’oblio si celino i più sordidi ed impuri segreti?

Saluti dalla plancia,

CARLO DELASSO

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