Proiettati nel futuro ma chiusi in un piccolo mondo virtuale Società

È forse strabismo guardare con un occhio al passato e l’altro al futuro, oppure semplice buonsenso? Mi faccio spesso questa domanda quando penso al modo in cui certi oggetti moderni oramai d’uso quotidiano hanno finito col cambiare alcune abitudini elementari.

È notizia di pochi giorni fa la storia dell’infermiera ucraina, la quale, durante le proteste a Kiev, è stata colpita al collo da un proiettile e prima di spirare ha spedito dal suo cellulare un tweet con scritto “Sto morendo”.

Senza voler togliere nulla alla drammaticità di questa storia, non posso fare a meno di pensare che, fino a non molto tempo fa, chiunque nella sua stessa situazione avrebbe gridato aiuto, oppure, date le conoscenze di primo soccorso che la ragazza indubbiamente aveva, si sarebbe premurato di trovare un modo per fermare o almeno ridurre l’emorragia fatale.

Un esempio completamente diverso: se viaggiate in treno, con molta probabilità le persone sedute di fronte o accanto a voi, ancora prima che la vettura si metta in moto, tireranno fuori dalla borsa o dalle tasche uno smartphone, un portatile, un tablet o un lettore mp3; i più piccoli magari una console portatile di videogame. A quel punto, quasi certamente non ne staccheranno più gli occhi fino all’arrivo a destinazione, mostrando un totale disinteresse non solo per il panorama circostante, visibile dai finestrini, ma anche per i compagni casuali di viaggio. Chiudendosi nel suo piccolo mondo privato, ogni passeggero rifuggirà una possibile conversazione con gli altri. Le chiacchiere in treno, alle quali diversi scrittori si sono ispirati per ideare fuggevoli ma intense storie d’amore, oggigiorno sono divenute un’eccezione.

Lo stesso discorso vale per i viaggiatori pendolari sui mezzi di trasporto urbani: nei decenni passati, questa categoria di persone che trascorrono anche un’ora o due al giorno seduti per recarsi da casa al luogo di lavoro e viceversa, ha costituito un bacino potenziale intorno al quale sono nati popolari personaggi della narrativa popolare, nonché sottogeneri letterari i quali, se difficilmente hanno prodotto dei capolavori, di certo hanno consentito alle case editrici d’intascare non pochi soldi. Quale luogo migliore della metro, dell’autobus o del treno regionale per una lettura cosiddetta d’evasione? Fumetti come Diabolik, collane come i romanzi Harmony o i gialli prodotti in serie da autori pagati un tanto a pagina sono stati a lungo il passatempo prediletto di più di una generazione di pendolari, gli stessi che oggi più facilmente ingannano il tempo su Facebook, oppure tweettando o semplicemente trastullandosi con i giochi per cellulare.

Anche la figura del lettore di quotidiano, che dispiegando il proprio giornale sui sedili affollati dei mezzi pubblici riusciva ad infastidire anche tre persone alla volta (e ad essere infastidito, poiché le gomitate dei vicini oltre a rendergli più difficoltosa la lettura, rischiavano di strappargli il giornale) è in via d’estinzione, dato che le più influenti testate nazionali e non sono oggi disponibili su tablet, smartphone e pc.

Insomma, tenere lo sguardo puntato in avanti, sul futuro che incombe e che certo non possiamo arrestare è giusto, ma ogni tanto non fa male neanche voltarsi indietro e magari recuperare, non senza un pizzico di nostalgia, delle vecchie abitudini che in fin dei conti non erano poi tanto male.

Saluti dalla plancia,

CARLO DELASSO

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