Razzismo e schiavismo Società

Per ragionare se anche in questo piccolo spicchio di Mezzogiorno d'Italia alligni la mala pianta del razzismo, è necessario uscire fuori dagli schemi timidi di quella variante del fariseismo che è il politically correct, la proclamazione obbligata, cioè, di buoni sentimenti sotto l'egida di una solida maggioranza, possibilmente bipartisan.

Il fariseo della parabola evangelica diceva: Ti ringrazio, Signore, perché non sono come quello... Noi diciamo: Non siamo razzisti, però se ne devono andare a casa loro. Oppure: Se vogliono stare qua si devono adeguare. E giù con la legalità, arma privilegiata della destra che piace anche a sinistra.

Cominciamo dalla legalità.

Sta fuori dalla legge quello che vende i cd a basso prezzo e le borse Vuitton a 40 euro. Ma forse stanno nella legge coloro i quali comprano quella merce e danno da mangiare al fuorilegge?

Si parla di integrazione, ma evidentemente devono cominciare a farla gli altri. Difatti l'integrazione meglio riuscita è quella che si è appoggiata a fornitori ai margini della legalità. Utilizzare manodopera a basso prezzo senza pagare gli oneri previdenziali significa frodare una parte della giusta mercede ai lavoratori (i quali - si dice - non ne hanno bisogno perché si arrangiano con poco), ma anche spostare sulla sola parte che adempie il costo delle prestazioni previdenziali che lo Stato assicura alla generalità dei lavoratori. Le retribuzioni basse e in nero non sono illegali solo nei confronti dei lavoratori in tal guisa sfruttati, ma sono illegali anche nei confronti degli altri operatori economici che invece pagano salari regolari e tasse e contributi altrettanto regolari.

Quando le Albeparietti e le Santanché invocano in televisione l'arma della legalità non so se fanno delle distinzioni o se invocano gli interventi dall'alto solo per quelli che stanno più in basso.

Uno degli atteggiamenti più conosciuti del razzismo pacifico eppur profondo è quello di chi dice che la cosa non interessa perché non ci stanno gli ingredienti. Una volta si diceva dei negri (ora, per la verità, è vietato usare il vocabolo). Finché un film (Metti una sera a cena) non si permise di interrogare la coscienza degli americani. Ma usò un uomo oggetto di potentissima attrazione (l'attore Sidney Poitier) per introdurre l'argomento di una ragazza bianca di una famiglia bianca che si porta a casa (non a letto) un fidanzato di pelle nera.

Qui da noi ci aveva giocato sopra, con l'amaro ritmo di Tammurriata nera, E.A. Mario, nel pieno turbine del dopoguerra napoletano. Si cerca di nascondere, ma il criaturo è nato niro. E' una notizia, perché chill'u fatto è niro-niro, niro-niro cum'acché, cioè è una anomalia. Siamo di fronte ad un razzismo possibilista.

C'è razzismo a Benevento?

Erano razzisti i beneventani che tenevano a bada quelli delle Palazzine, gli abitanti cioè del Rione Libertà, perché assegnatari di case popolari e perciò, forse, provenienti da precedenti condizioni di vita più basse? Un po' di razzismo se lo sentivano addosso sicuramente quelle famiglie del Rione che non volevano mischiare i loro figli con gli indigeni e li mandavano a scuola alla Torre e alla Pascoli, pur avendo nel rione due scuole medie come la Pupillo e la Bosco Lucarelli (tra l'altro quest'ultima con l'unico vero edificio all'altezza di una scuola).

Ancora più di recente, non erano certo razzisti quelli che vennero ad abitare, dopo il terremoto del 1980, oltre la collina della Pacevecchia e che non vollero mai mischiare i loro figli con quegli altri abitatori del medesimo nuovo rione, tanto che dapprima fu creata una sezione d'èlite e poi fu smantellata del tutto la scuola media Europa che aveva sede di fianco al campo di rugby.

Una tabella pubblicata dal Corriere della Sera domenica 10 gennaio 2010 colloca Benevento tra le venti città più irregolari d'Italia, avendo il 29,1% di clandestini sul totale degli immigrati presenti. Precisamente Benevento è all'undicesimo posto di questa speciale graduatoria. Sotto il profilo della legalità, ci sono complici? Sono anch'essi irregolari?

Il razzismo è un sentimento culturale che si può superare. E' frutto di arcaismi scientifici (nello sport cinquant'anni fa si sosteneva che i negri potevano fare solo le corse veloci, che non potessero vincere negli sport d'acqua, che fossero inidonei al giuoco del calcio), di suggestive leggende in cui anche l'orco è nero, di nazionalismi esagerati, di colonialismi mal riusciti (Faccetta nera...sarai romana, mai e poi mai faccetta romana lavorerai in Abissinia), di rappresentazioni letterarie utilitaristiche e consolatorie. Insomma il razzismo si può superare con l'apertura culturale, con la presa d'atto della ineluttabilità del rimescolamento globale dei gruppi umani, con l'espansione degli interessi economici sempre più protagonisti anche delle scelte politiche.

Quello che forse non scomparirà mai è lo schiavismo, quel sentimento cioè che (bianco o nero che sia, giallo o rosso) fa dell'uomo lo sfruttatore del proprio simile. Lo schiavismo esiste, infatti, al di là delle barriere tipicamente razziste del colore della pelle e delle differenze culturali.

Lo schiavismo è sempre dissimulato, emerge quando lo schiavizzato alza la testa. Ecco il peccato da punire subito con la repressione, inasprimento di pene e dibattiti televisivi: la ribellione.

Ciò che dà fastidio è che quelli là come si permettono. Il fastidio, più che la preoccupazione, discende da un moto di meraviglia: come si permettono?

E per impedire che lor signori si permettano invochiamo l'applicazione, per loro, della Costituzione. La quale recita La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (Art 2).

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it