Salvare la provincia Società

Le province, nell'ordinamento sabaudo, erano le mattonelle dello stato unitario, il corrispondente delle prefetture napoleoniche francesi. L'autorità principale ne era il prefetto, non un organo eletto, ma un rappresentante del governo centrale sul territorio. Innesti di autonomia furono introdotti nel 1889 con organismi elettivi, a somiglianza di quanto avveniva nei comuni.

Ma le delibere delle giunte comunali e delle “deputazioni” provinciali erano sottoposte al visto preventivo di legittimità di un organismo prefettizio chiamato Giunta Provinciale Amministrativa, che anche gli studenti di legge nel periodo repubblicano erano portati a confondere con la Giunta Provinciale.

La Giunta Provinciale Amministrativa (GPA) era l'abito democratico di un tassello centralistico. Era la longa manus del Prefetto, del Ministero dell'Interno e del Governo centrale.

Con la Repubblica, che (art. 5 della Costituzione) “riconosce e promuove le autonomie locali”, tutto rimase come prima, fino alla nascita delle Regioni. Le quali, dopo la prima elezione dei consigli regionali (anno 1970) impiegarono circa trent’anni per imporre la loro funzione di armonizzazione e controllo sugli atti degli enti locali (comuni e province). Controllo sugli atti, ma non sugli organi. Ancora oggi (aboliti anche i Comitati Regionali di Controllo-CORECO nel 2001) chi prende atto dell'impossibilità di funzionamento degli organi elettivi di comuni e province è il Prefetto, che nomina o propone la nomina di commissari straordinari.

La Repubblica Regionale covava nel proprio seno la soppressione delle province e dei prefetti. Contro la sopravvivenza dei prefetti erano fieramente schierati molti dei partiti sulle cui ceneri sono nati movimenti che in prefettura sono diventati di casa non più per accoppare lo scelbotto (da Mario Scelba, ministro dell'interno negli anni Cinquanta del secolo scorso) ma per affidare alle sue referenze istituzionali la soluzione di problemi che dovrebbero sbrigare organismi lautamente onorati e osannati perché democraticamente eletti.

Addirittura il Presidente della Repubblica, in occasione della festa nazionale del 2 giugno, indirizza il proprio messaggio (rivolto alle comunità locali) al Prefetto. Non ai sindaci e neanche al presidente della provincia (e, per la verità, neanche ai presidenti delle regioni). Al Quirinale copiano i messaggi del re? E perché nessun sindaco con la fascia tricolore ha osato scrivere a Carlo Azeglio Ciampi e a Giorgio Napolitano suggerendo che quantomeno quel pezzo di carta sia rivolto a chi, giuridicamente, rappresenta la comunità locale?

Le province come mattonelle dello stato avevano il privilegio di ospitare gli uffici ministeriali, i comandi locali di carabinieri e polizia, la Banca d'Italia e il Tribunale. Non è prerogativa della provincia intesa come ente locale avere carabinieri, polizia, tribunali e uffici statali. Tant'è che a nessuno è venuto in mente di impugnare le decisioni che hanno privato anche la nostra provincia della Banca d’Italia, della Ragioneria provinciale dello Stato (prima passata ad Avellino e poi ritornata mediante soppressione della Direzione Provinciale del Tesoro).

Molte altre funzioni amministrative non propriamente statali ma di sicuro interesse pubblico hanno traslocato (Enel, SIP, servizi ferroviari) senza che si sia pensato che stesse franando sotto i piedi l'esistenza della provincia. L'anima politicante della provincia poco accorta a quel che stava perdendo si è dilettata nell'invenzione di ciò che l'avrebbe definitivamente condannata: la creazione di carrozzoni e carrozzine la cui unica funzione è di creare posti da assegnare con criteri politici (con ridicolo senso del pudore si dice: creazione di consenso”) con il danaro dei contribuenti.

Fino a che è tornata prepotentemente alla ribalta l'ipotesi di soppressione brutale. E' stato opposto l'argomento della incostituzionalità. Ma la Costituzione, come fu emendata nel 2001 inserendo una elencazione dei soggetti nei quali si articola la Repubblica, si può ri-emendare depennando da quell'elenco le province.

Ora che i nemici di ieri (PD e PDL) stanno nella stessa maggioranza del profeta Casini a sostegno del salvatore Mario Monti, nel rigoroso rispetto della carta costituzionale, la soluzione la si sta trovando in un classico compromesso (storico? no, all'italiana).

Tolte le città che saranno battezzate “aree metropolitane” ( previste dalla legge 142 del 1990 e ripescate da più recenti edizioni legislative ripulite da residui di prima repubblica) di province ne potranno rimanere solo sessanta (oggi sono centodieci).

Allora ci sono per noi due sole alternative:

1- si resta in Campania a patto che la Regione riesca a mantenere le sue cinque province, dal momento che la media “regionale” sarebbe di circa un milione e 200 mila abitanti per provincia, coerente con la media nazionale delle 60 province (inferiore a un milione di abitanti). Verrebbe accantonato il numero minimo di abitante, stante una compensazione “interna” con le province più ricche.

2- si va con il Molise, con l'argomento che oggi è a rischio la sopravvivenza stessa della Regione Molise che, con la popolazione attuale, non avrebbe più almeno due province.

Nell'un caso e nell'altro a nulla servono i documenti come quello approvato dal consiglio provinciale, di cui Realtà Sannita ha dato ampio risalto (“Il Sannio non si tocca”, prima pagina dell'ultimo numero). Servono, invece, “manovre” realistiche, propositive, nonché.

In altre parole dovremmo costruirci una soluzione. Temo che ci si preoccupi di confezionare un suggestivo alibi per un sicuro fallimento.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it

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POST SCRIPTUM

Mi permetto riportare ciò che scriveva nel 1944 il futuro presidente della Repubblica Luigi Einaudi.

Democrazia e prefetto repugnano profondamente l'una all'altro. Né in ltalia, né in Francia, né in Spagna, né in Prussia si ebbe mai e non si avrà mai democrazia, finché esisterà il tipo di governo accentrato, del quale è simbolo il prefetto. Coloro i quali parlano di democrazia e di costituente e di volontà popolare e di autodecisione e non si accorgono del prefetto, non sanno quel che si dicono. Elezioni, libertà di scelta dei rappresentanti, camere, parlamenti, costituenti, ministri responsabili sono una lugubre farsa nei paesi a governo accentrato del tipo napoleonico”.