Torniamo ai cassonetti Società

Prima dell'irrompere della “modernità” (magica parola che unisce e divide, indifferentemente), quando una famiglia veniva a trovarsi in difficoltà si riuniva e cercava la soluzione, cominciando dalla riduzione delle spese. Il primo obiettivo è, infatti, quello di affrontare il pagamento dei debiti. La cosa è facile quando il debito è un fastidioso una tantum, che so una cura costosa di una malattia lunga o un disastroso debito di gioco. Più difficile l'impresa del risanamento si presenta quando, invece, l'indebitamento deriva da una serie di processi innescati sull'onda di una previsione spensierata perché programmata sulla scorta di salvifiche teorie ideologiche totalmente prive di quel fastidioso elemento chiamato responsabilità.

La spesa pubblica è stata sottratta, negli ultimi trent'anni, al principio di responsabilità. Il nome della solidarietà è stato speso per tenere buoni i contemporanei, senza riflettere che si scaricava una montagna di debiti sulle future generazioni. Adesso tocca a noi, come futura generazione, iniziare a pagare.

La cecità culturale della politica si rivela, tuttavia, ai massimi livelli. Piero Ostellino, sul Corriere della Sera di sabato 23 marzo, osserva che la nuova presidente della Camera, Laura Boldrini, ragiona a testa in giù. E' duro leggere Ostellino: non sono i diritti - lui dice - che creano il benessere. E' la produzione di ricchezza che rende attuabile una distribuzione dei servizi pubblici. Senza produzione di ricchezza non c'è stato generoso che possa riuscire a non ingannare i suoi sudditi.

A Benevento l'amministrazione comunale si trova alle prese di questioni intricatesi maledettamente. Si studia partendo dalla coda: il salvataggio del personale, ossia la maggiore voce di costo di aziende, uffici, servizi.

Due esempi su tutti: l'azienda dei trasporti (AMTS) e l'Azienda che cura l'igiene pubblica e raccoglie i rifiuti (ASIA). Due tronchi immaginati “virtuosi” di una sistema imprenditoriale puramente “virtuale”. Società per azioni, soggette alle regole del codice civile, in cui c'è un solo socio, che è pubblico, che è il Comune.

Come è possibile immaginare in partenza una società con un solo socio è segno inequivocabile di follia. Tutt'al più una società per azioni può finire nelle mani di un solo “padrone” per fasi successive, quando cioè è quotata in borsa e c'è chi vende e chi (unico) compra le azioni.

L'illusione che il socio unico sia un ricco sfondato, perché i soldi se li fa dare attraverso la imposizione vigilata da Equitalia e Guardia di Finanza, non ha voluto fare i conti con la realtà. O meglio: i conti, con le quattro operazioni, li tiene (direbbe il poeta) “in gran dispitto”.

Il Comune (unico socio) non ha soldi per ripianare i debiti di codeste SpA, perché lo Stato a sua volta non è in grado di ripianare tutti i debiti del Comune. Il sindaco è il capo del Comune ma è anche, in nome e per conto del Comune, il socio unico delle due aziende. Lui costituisce anche l'assemblea dei soci. Si riunisce nella qualità di assemblea e come tale è costretto a far quadrare i conti della SpA. Ma, non essendo socio coi suoi soldi, non fa aumenti di capitale ma semplicemente gira la pratica a sé medesimo nella qualità di capo del Comune, passando la palla ai dirigenti e al consiglio comunale. I quali possono solo aumentare le tasse.

Ma c'è un limite alla imposizione fiscale. E' il limite di resistenza dei contribuenti. Una SpA normale vedrebbe in azione gli amministratori (presidente, amministratore delegato, consiglio di amministrazione), assistiti dai revisori dei conti, alle prese con ipotesi di razionalizzazione delle attività proprie della “impresa”, con un occhio particolare alla possibilità di ridurre i costi di gestione.

Per farmi capire prendo il caso dell'AMTS, che dovrebbe gestire (in regime di privata economia) il trasporto pubblico urbano. A cui si sono aggiunti il parcheggio del Pomerio e, da poco, il parcheggio di Porta Rufina. Si penserebbe che questi amministratori stiano riorganizzando il trasporto pubblico, eliminando le linee che non hanno passeggeri, incrementando quelle che i passeggeri ce li avrebbero se gli autobus passassero ogni cinque minuti, ma soprattutto “aggiornando” le stesse linee secondo le esigenze di una città che negli ultimi trent'anni si è trasformata (o è stata lasciata libera di trasformarsi) in una “cosa” molto diversa da quando la ditta Cesare Ventura istitutiva la linea 2 e la linea 3.

Pare si stia almanaccando sulla possibilità di affidare all'AMTS la gestione di tutti i parcheggi di superficie, quelli delle famose strisce blu. Si pensa, cioè, a come dare una occupazione ai dipendenti, senza riflettere sulla redditività di una tale soluzione. A prescindere dal conflitto che è prontamente scoppiato con le cooperative alle quali di sei mesi in sei mesi tale servizio è stato dato in concessione.

Per fare un esempio più semplice, Benevento faceva la raccolta differenziata. Poi è uscita la moda ultramoderna della raccolta dei rifiuti porta a porta. Costa un accidenti. Per risparmiare ci inventeremo anche per i dipendenti ASIA la gestione di qualche parcheggio? O non sarebbe il caso di eliminare il costosissimo servizio porta a porta e tornare ai cassonetti?

Con l'evidente vantaggio di eliminare lo spettacolo indecoroso offerto dagli inzivados (sempre più numerosi) e di allinearci a città come Roma e Milano che continuano a fare la differenziata con tre tipologie di cassonetti (carta, plastica, tutto il resto) e le verdi campane per il vetro.

La situazione economica generale è preoccupante. A cominciare dalle leggi, per finire all'amministrazione urgono sostanziali novità. Prima che il contribuente perda la pazienza.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it 

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