Tutti matti per l'iperconnessione, ma non è maleducazione? Società

Ignora il prossimo tuo” si potrebbe ritenere il nuovo comandamento di questo secolo. Non che la specie umana in generale spicchi per altruismo, ma in particolare nella vita di tutti i giorni questa sembra essere diventata la regola, tra i più giovani ma anche tra persone cosiddette mature.

Vi sarà capitato di notare come oggigiorno in molte situazioni le persone anziché comunicare con chi è loro vicino (il prossimo, appunto) preferiscano mettersi in contatto tramite cellulare con amici o conoscenti lontani. Ciò accade non solo in situazioni nelle quali si è circondati da estranei, quali ad esempio un mezzo pubblico o durante una coda in un ufficio postale, bensì sempre più spesso anche quando si è in compagnia di parenti, amici o colleghi di lavoro. Durante un pranzo, una cena o una semplice pausa caffè quasi nessuno rinuncia a dare un’occhiata al proprio smartphone, vuoi per controllare la posta, per aggiornare il profilo Facebook o semplicemente per scrivere un rapido tweet. E siccome una cosa tira l’altra, si finisce facilmente, senza rendersene conto, per trascorrere più tempo con gli occhi fissi su un display che non guardando in faccia le persone che si hanno accanto o di fronte.

Niente di nuovo sotto il sole, potreste dire: in fin dei conti, anche prima che tablet e cellulari si diffondessero esisteva un’ampia gamma d’attività per trascorrere il tempo, dalle riviste enigmistiche a libri e fumetti fino ai più recenti (ma già divenuti obsoleti) walkman. A mio parere, però, non è esattamente la stessa cosa: un conto infatti era leggere un romanzo o risolvere un rebus in treno nel tragitto da casa al lavoro, ma cos’avreste pensato di un collega, un amico o un parente il quale, invitato a cena a casa vostra, avesse trascorso la maggior parte della serata seduto di fronte a voi a leggere un quotidiano o a riempire un cruciverba?

Forse la colpa è da attribuire al Galateo, che non ha codificato i comportamenti da tenere quando si usano le moderne tecnologie? Eppure, certe cose dovrebbero essere pressoché scontate: che sarebbe più opportuno consigliarsi con i commensali a proposito del menu, invece di scattare una foto a quest’ultimo e pubblicarla su Facebook. O che eventuali apprezzamenti sui piatti appena assaggiati andrebbero scambiati con chi è a tavola insieme a noi anziché con i nostri amici o follower.

I moderni apparecchi portatili, i social network ed in generale l’abitudine di essere sempre connessi stanno modificando in maniera diffusa molti comportamenti sociali, non necessariamente in meglio: chiunque abbia una certa età ricorderà senz’altro i tempi in cui, seduti a tavola con la famiglia al gran completo, si aspettava che il capofamiglia desse l’autorizzazione ai più giovani di alzarsi, dopo aver salutato i parenti più anziani. Oggi nessun ragazzo o bambino si sognerebbe di chiedere il permesso a genitori o nonni per tirar fuori lo smartphone ed usarlo durante il pasto, che sia il pranzo della domenica o il cenone di Natale. E qualunque insegnante potrà confermare come a scuola quella per costringere gli alunni a tenere spenti i cellulari durante le lezioni sia una battaglia persa.

Chiedere a tutti di rinunciare ad essere iperconnessi sarebbe una pretesa esagerata, ma basterebbe, come sempre, fare uso di un minimo di giudizio e senso della misura per evitare comportamenti che, sebbene nessuno lo dica ad alta voce per paura di sembrare antiquato, a tutti gli effetti sono sintomo di cattiva educazione, anche se monsignor Della Casa nel Galateo non ne fa alcun cenno.

Saluti dalla plancia,

CARLO DELASSO

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