Guida ai beni culturali di Reino. I beni culturali, tra cui il paesaggio, li possiamo tutelare solo se li conosciamo Cultura
Presentata la ″Guida ai beni culturali di Reno″, curata da Delia Calzone dell'Associazione Universitas Terrae Reginae in collaborazione con Comune e Italia Nostra.
Il messaggio che si è voluto lanciare è chiaro: attraverso la valorizzazione dei beni culturali, tra cui il paesaggio, si valorizza un'intera comunità, rendendola attrattiva. E soprattutto, ribadire con decisione e fermezza che i beni culturali, per il loro valore storico, culturale e identitario, sono patrimonio della Comunità. Anche quelli nelle case dei privati. Che se venduti, si va incontro a responsabilità di tipo ′penale′.
L'abbiamo intervistata per
saperne di più.
Reino si dota di una guida molto particolare: di che cosa
si tratta e come nasce? È una guida ai beni culturali e nasce per condividere,
con tutti i reinesi, la conoscenza del patrimonio culturale, che, anche in un
piccolo paese come Reino, c'è ed è molto più nutrito di quanto si possa
pensare.
Siamo ai piedi della rupe del castello... È solo uno degli elementi. Ci sono beni che si possono vedere, insieme ad altri tipi di beni che vengono menzionati e raffigurati nella guida.
Elenchiamone alcuni. La guida, coerentemente all'impostazione più diffusa attualmente sui Beni culturali, si suddivide in tre principali capitoli: i beni materiali, che sono appunto i castelli, gli edifici, i monumenti in genere; i beni immateriali, cioè la cultura, le tradizioni di una comunità; infine i beni paesaggistici, perché il paesaggio è considerato come il risultato dell'interazione delle generazioni passate con la morfologia del territorio. Basta pensare che qui a Reino abbiamo il tratturo, che attraversa l'intero paese: il tratturo ha modellato il nostro paesaggio.
Come è nato questo progetto? L'input è del Comune; certo, lo stimolo è venuto dalle cose che in precedenza avevamo fatto anche come Associazione, per cui il Sindaco chiese a noi se volevamo lavorare su questo tema e fare una ricerca, perché chiaramente era necessario approfondire, vedere, leggere i documenti, capire quali fossero effettivamente i beni più significativi. Il risultato è stato questa Guida ai beni culturali di Reno.
Queste ricerche servono anche a lasciare traccia indelebile su aspetti, a volte inediti, della storia di un territorio. Mi fa piacere sottolineare che nello studio, rileggendo antichi documenti, quello che è venuto fuori per esempio è il riconoscimento del Palazzo dei Benedettini sofiani che finora non eravamo riusciti ad individuare dove fosse a Reno. Invece, rileggendo cosa diceva Alfonso Meomartini di questo palazzo e sapendo che nel 1848 c'era stata la donazione della chiesa di Santa Maria al monastero di Santa Sofia di Benevento, mettendo insieme tanti elementi, abbiamo individuato il manufatto del IX secolo che è il Palazzo dei Benedettini sofiani e, non a caso, è quello che viene detto per antonomasia il Palazzo. Da sempre. Ma si era persa la memoria che fosse quello. In che modo sarà distribuita e quale il suo costo? Il lavoro di ricerca fatto dall'associazione, durato un anno e più, naturalmente non viene remunerato: l'abbiamo fatto in forma di volontariato. Però le associazioni hanno bisogno di soldi, per funzionare; altrimenti non è possibile neanche tenere un conto corrente. Di conseguenza, il Comune ci ha ceduto una parte delle copie che ha fatto stampare e noi le distribuiamo chiedendo un contributo.
Cosa bisognerebbe fare per avvicinare anche i giovani, in particolare gli universitari, a questi studi sui Beni culturali di ogni paese? Non è facile. Noi abbiamo fatto diverse iniziative in tal senso: ad alcune siamo riusciti ad avere una buona risposta da parte dei giovani, per esempio nel 2018 con la rievocazione del centenario della fine della Grande Guerra.
La guida è un invito alle persone a visitare Reino, ma serve soprattutto a conservare memoria di reperti, oggetti e testimonianze presenti del luogo; ma ci sono anche altri eni culturali, in possesso di privati, che hanno un sicuro interesse pubblico. Questa è una problematica presente in tutta la zona. Presso molte case private ci sono reperti... almeno questa è la voce che gira in paese e non credo sia una voce fasulla: le persone pensano di avere delle cose molto pregevoli, di valore; in realtà sono cose sì di valore, ma di valore storico, culturale e identitario per le comunità in cui sono stati trovati. Non hanno gran valore sul mercato. Inoltre, laddove si pensasse di venderli, questi beni, questi reperti, si andrebbe incontro ad una responsabilità di tipo ′penale′; viceversa, farli emergere, denunciarli, dire: ″Ho trovato questo... oppure Mio nonno ha trovato questo... Perché a Reino, per esempio, molte cose, a cominciare da quelle di cui abbiamo ancora i reperti, sono state trovate per lo più fine 800 inizi 900, quando è cominciata la meccanizzazione delle campagne, per cui emergevano tante cose....
E tutto questo, è memoria di un'intera comunità. Esatto, non è di una sola famiglia: è l'identità stessa della comunità; per cui il valore è sì grande, ma solo in questo senso. Non come valore pecuniario. Il danno che invece si fa alla comunità, sottraendo la conoscenza di questi beni, è veramente notevole!
E quindi qual è il messaggio che si lancia stasera. Quello soprattutto di farli conoscere questi beni. Noi pensiamo che la conoscenza sia ′il primo tassello′ per avere poi la giusta propensione a tutelarli: i beni culturali, se li conosco li posso tutelare; se non li conosco, non mi pongo neanche il problema. E una volta conosciuti e tutelati, passare anche alla loro valorizzazione: valorizzando i beni, si valorizza una comunità che, come tale, può diventare attrattiva.
GIUSEPPE CHIUSOLO