L'eclissi della bellezza Cultura
Giravo per il “Mercatino”, non lontano da casa mia.
Il “Mercatino” fa parte di una catena di punti vendita distribuiti in molti quartieri di Roma, che ne condividono il nome modesto e accattivante.
Lì si vendono oggetti di ogni tipo, servizi di piatti o tazze, quadri, vestiti, lumi, libri, dischi, CD, DVD, mobili, statue, ceramiche, orologi, specchi, vecchie macchine da cucire, radio dei decenni passati, monete antiche, trenini elettrici, soprammobili, vasi, piante, amuleti, poster, valigie, pianoforti, tutto. I proprietari li portano al “Mercatino”, che si incarica di venderli, con l’impegno di dividere il ricavato al 50%.
Ero nel grande corridoio degli oggetti di vetro e di cristallo quando il mio sguardo fu attirato da alcuni bicchieri, che non potevano non colpirmi. Li guardai con attenzione. Sì, erano identici ai bicchieri di cristallo che erano in casa dei miei genitori dall’inizio degli anni ’50 del secolo scorso, i bicchieri che si mettevano a tavola nelle grandi occasioni, Natale, battesimi, matrimoni, nascite e ricorrenze importanti. E ogni volta che si mettevano a tavola coesistevano la gioia di ritirarli fuori e la paura che si potessero rompere. Poco prima della sua morte, mia madre decise di lasciarli in numero eguale a mia sorella e a me. Sono meravigliosi bicchieri di cristallo di Boemia lavorati a mano.
L’emozione era grande. Era impossibile non comprarli. Sentivo il bisogno di dover proteggere i lontani ricordi della mia vita, che sembravano abbandonati e dimenticati, dispersi e quasi irriconoscibili tra migliaia di altri oggetti. Erano opachi e sporchi. Guardai il prezzo: 16 euro per sette bicchieri. Avrei pagato qualche centinaio di euro pur di averli. Li portai a casa e li lavai con cura. Ricomparvero luminosi e brillanti come erano un secolo prima. Li riposi a fianco dei miei vecchi bicchieri e provai una strana e assurda sensazione che le cose fossero “andate a posto”.
Poi iniziarono inquiete riflessioni. Come era potuta accadere una cosa simile? Che senso aveva? Chi aveva potuto dar via quei preziosi sette bicchieri per ricavarne 8 euro?
Per fare una cosa del genere, pensai, non bastava che quei bicchieri semplicemente non fossero piaciuti. Occorreva aver odiato quei bicchieri. Dovevano esser apparsi brutti, se non orribili, oggetti di cui sbarazzarsi per liberarsi di un peso, di un’oppressione, di un fardello che richiamava un passato non solo incompreso, ma disprezzato, da dimenticare, cancellare, annullare. Otto euro sono pur sempre qualcosa in cambio dei rifiuti.
Eppure, quale bicchiere del prezzo di un euro avrebbe potuto sostenere il confronto con tanta bellezza?
Il piccolo aneddoto personale del “Mercatino” forse è espressione di vicende più drammatiche e universali che investono i nostri tempi, come la morte dell’Arte e l’oblio della bellezza, la frenesia irrefrenabile di rompere con la tradizione, di spezzare i legami con il passato e di rinnegarlo, giudicandolo non al passo con i tempi, oscurantista, non emancipato: un residuo di cui vergognarsi e sbarazzarsi al più presto, per poter finalmente essere pienamente accolti nell’intollerante mondo degli odierni benpensanti, che guardano con fastidio la cultura delle precedenti generazioni e addirittura con disprezzo le civiltà dei secoli passati, analizzate con le misere categorie della contemporaneità.
Contento di aver salvato dal naufragio quei bicchieri, senza sapere perché, tornai al pensiero che mi amareggia da anni: per la prima volta, dopo duemilacinquecento anni di storia, a Roma, come credo nel resto del mondo, è scomparsa la bellezza. In una città che si è arricchita nei secoli di meraviglie artistiche, di cui veneriamo persino minuscoli frammenti, nel corso dell’ultimo mezzo secolo, non è stata costruita una sola cosa bella. Chiedo con curiosità ai lettori di Realtà Sannita se a Benevento o nel Sannio sia stato creato negli ultimi decenni qualcosa di bello che possa reggere il confronto con le bellezze millenarie di questi luoghi. Mi auguro che sia stato così e che la mia idea sia sbagliata.
La morte dell’arte e la scomparsa dell’amore per la bellezza rimandano a loro volta a considerazioni ancora più drammatiche, che non si possono approfondire qui, come l’eclisse del Vero e del Bene e il rinnegamento dello Spirito. Se non c’è Dio, allora tutto è lecito, diceva Ivan Karamazov.
L’abbandono di quei poveri, meravigliosi bicchieri di cristallo di Boemia, profanati con la vendita ad un euro, è un’inezia, che forse trova il suo senso proprio in quest’immane tragedia.
MICHELE RAJA