Aprire ai sogni le ''Porte di Corno'' Cultura

Basta auguri di un anno migliore, migliore devo essere io! E basta con i romanzetti, in questo 2024 voglio sognare e farmi guidare dai miei sogni”. Sentivo queste parole qualche giorno fa in una libreria, dove un romanziere sconosciuto firmava autografi a tutta velocità senza dar retta a nessuno. Al…bisognoso di dialogo e di sogni, che si aggirava irritato tra gli scaffali carichi di libri dai prezzi scontati, avrei raccomandato di non privarsi della narrativa di qualità che fa sognare confermando l’antico detto che “è un vecchio chi vive di rimpianti, mentre chi insegue i sogni rimane giovane a qualunque età” (nell’immagine ‘Un sovrano sognatore’ di Gustave Moreau).

I sogni aiutano a vivere, dicevano i Greci, ma vanno selezionati. Secondo Omero non dobbiamo lasciarci incantare dai sogni che entrano nella mente da una “porta diavorio”, perché quella cornice preziosa può nascondere inganni; più sicuri sono i sogni che entrano da un varco normale, per esempio da una “porta di osso di corno”. Il poeta lo fa dire da Penelope ad Ulisse nel Canto XI dell’Odissea, ma lascia anche lui irrisolto il problema di come distinguere i sogni utili da quelli negativi. In maniera pratica badavano al valore del contenuto, piuttosto che all’apparenza, alcuni popoli preromani come i Sanniti che quando sognavano gli dei e gli eroi del mito li traducevano in realtà raffigurandoli con gesti umani in modesta terracotta, pietra calcarea, legno.

Sogni e immaginazioni oggi non sono più del tutto impenetrabili, tantomeno inutili. Gli psicanalisti, che osservano la mente come un laboratorio attivo notte e giorno a nostra insaputa, considerano sensazioni percezioni ed emozioni un materiale necessario per leggere e riprogettare la vita. Fra tanti buoni propositi e con l’ausilio di scienze filosofie ed arti, ogni inizio di anno diventa stimolo a dare attenzione a noi stessi senza badare alla disponibilità di tempo o a soluzioni definitive. L’anno nuovo è veramente nuovo, dicono gli studiosi della mente, soltanto se riusciamo a mettere in relazione sogni e realtà.

La storia del pensiero occidentale è tornata più volte sulla necessità di riflettere sui sogni. Sorprendentemente moderno è il leggendario sogno di Epimenide di Creta, un curioso insegnamento raccontato da Diogene Laerzio nelle Vite dei filosofi. Il filosofo cretese quand’era bambino fu mandato dal padre a cercare una pecora smarrita in campagna. Stanco, dopo un po’ entrò in una grotta e si addormentò. Passarono ben cinquantasette anni ma Epimenide sognando non se ne accorse. Al risveglio riprese perciò a cercare la pecora, non la trovò e tornò a casa.

E fu un dramma per lui vedersi nell’ambiente familiare diventato profondamente diverso, circondato da sconosciuti che ora abitavano la sua casa e gli chiedevano chi fosse. Finché un suo fratello ormai vecchio lo riconobbe e gli spiegò il grande regalo che aveva avuto dai sogni: era arrivato giovanissimo nel futuro.

Sognare ad occhi chiusi o aperti è la stessa cosa, diceva Picasso, un tema che negli anni Ottanta e Novanta del Novecento diventò fondamentale per la creatività. Accettando i miei inviti a contribuire alla reinvenzione interdisciplinare del Museo del Sannio, artisti in prevalenza napoletani arrivavano a Benevento per realizzare fantasie provocatorie, fino a immaginare sognanti e dialoganti anche le statue esposte in città. Furono loro a rendere protagoniste di discussioni due sculture presenti nel pieno centro di Benevento: l’imponente Discobolo all’ingresso della palestra in Piazza Risorgimento e la Vittoria alata di Publio Morbiducci (1926) che spicca il volo dal Monumento ai Caduti in Piazza Castello. Li definirono “Il discobolo in galera”, perché in pieno deperimento era, ed è, abbandonato a guardare i passanti da dietro le sbarre arrugginite, e “La Vittoria dispettosa” che, orientata sull’alto basamento in modo inappropriato con il sole alle spalle, rifiuta di farsi guardare il volto di bronzo scuro mai conosciuto da nessuno.

Non sono sogni, dicono oggi tutti gli artisti, quelli che ci chiudono nel cassetto.

ELIO GALASSO