Enrico Falbo e i suoi 'Canti Silvani' Cultura

L'effervescenza neanche tanto nascosta che anima la Benevento musicale trova concretezza piena nella moltitudine di band che si affacciano all'orizzonte culturale della città; nascono quasi per caso, spesso in ambito scolastico, da incontri e condivisioni di passioni e di emozioni, si concretizzano in momenti di studio ed approfondimento della musica, si dipanano in un frammento di vita comune e poi, all'improvviso, muoiono, lasciando tracce profonde e dense in chi le ha create, le ha vissute e ne ha fatto parte.

Immagino che anche la carriera del trentunenne Enrico Falbo sia nata così, da una passione giovanile non disconosciuta ma alimentata e trasformata in “mestiere”: a 21 anni nei “Lamia” - gruppo votato al 'rock crepuscolare' con cui registra due cd - poi autore e voce dei “Chaos Conspiracy” e del loro lavoro discografico 'Out of place', ed infine componente del gruppo post-rock 'Il Cielo di Bagdad', in cui suona viola, chitarra ed harmonium.

E è proprio grazie alla militanza musicale ininterrotta ed all'amore per la musica mai rinnegato che Falbo ha per la seconda volta calcato il palcoscenico della trentatreesima edizione di “Città-Spettacolo”, conclusasi nei giorni scorsi con una sua opera corredata, nella messa in scena, di suoni e danze, tratta da un disco uscito due anni fa, “Canti Silvani”.

Un lavoro particolare, quest'ultimo, fatto di fonemi che non scelgono le asprezze e le sonorità dure e gutturali di certo linguaggio contemporaneo ma si aprono ad un ambito armonico rassicurante e poco mosso, affidando agli strumenti etnici ed al loro eloquio ancestralmente folcloristico e popolare la loro espressività.

“Ho composto ed eseguito le musiche impiegando suoni variegati nella timbrica ed intrisi di elementi sonori giapponesi ed indiani, sostenuti dagli impulsi ritmici di tamburelli e sonagli. La voce è stata utilizzata come uno strumento; tutti i brani del disco sono lontani da una forma articolata e varia e si avvicinano molto alla composizione strumentale progressiva del Non-Ritorno”.

Un solipsismo strutturale che è nello stesso tempo solipsismo esecutivo, un modo di vivere l'emozione della creazione a tutto tondo, dalla scelta di canoni compositivi diversi dalla norma per opere di questo tipo al rifiuto di affidare ad altri la realizzazione di un pensiero creativo divenuto “fatto” individuale e particolarissimo, che ritrova il senso della creazione nella materialità della scrittura e dell'esecuzione.

Nella serata beneventana l'ambientazione suggestiva del palcoscenico dell' Arena dell'Arco del Sacramento, 'perso' tra rovine e resti romani perfettamente restaurati, ha esasperato l'aspetto magico cui fa riferimento la musica, affidando alla danza ed all'azione coreografica una possibilità in più di sogno.

CARLOTTA NOBILE 

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