Bartolomeo Camerario si convinse che evasori si nasce Cultura

Frodi, omicidi e incassi di denaro, gente in odore di mafia nel Cinquecento italiano, quando a credere che fosse facile punire gli evasori fiscali fu un beneventano, Bartolomeo Camerario (1497-1564), giurista chiamato nel 1518 alla Cattedra di Diritto Civile nell’Università di Napoli a soli ventuno anni (foto).

Piuttosto che mettersi a frequentare i salotti della cosiddetta buona società fece dell'attività giuridica l'impegno della sua vita. Assurto nel 1541 al ruolo di Luogotenente della Camera della Sommaria, incassava le tasse del Viceregno Spagnolo di Napoli senza fare sconti a nessuno: sequestri e galera per mercanti, banchieri, nobili e responsabili di ogni settore. Per la plebe napoletana era un nuovo San Gennaro arrivato da Benevento, per le classi superiori un problema da risolvere subito.

Rigoroso, impassibile, si infischiò dell’avvertimento messo in circolazione dagli evasori, il beffardo appellativo di Camerario il Temerario. Intervenne allora il Viceré Don Pedro de Toledo che con una manovra subdola lo destituì da ogni carica mandandolo sotto processo con l’accusa di ‘ingiusto condannatore di colpevoli presunti’. Per due volte Bartolomeo Camerario riuscì a far sostituire i giudici non imparziali, ma quelli del terzo processo lo spedirono in esilio, “per non condannarlo a morte” si legge nella sentenza.

Si rifugiò in Francia e poi a Roma nel 1556: un vero regalo l’arrivo di un tal maestro di scienze finanziarie, dovette pensare papa Paolo IV Carafa nato a Capriglia Irpina, poco a nord di Avellino. Sentendolo un conterraneo, gli affidò l’Amministrazione Generale delle Finanze Pontificie. E Bartolomeo Camerario riprese a scovare evasori tra i banchieri e i mercanti aggrappati al soglio pontificio.

Manco a dirlo, trovò illeciti anche nei settori gestiti da prelati illustri appartenenti a famiglie nobili, ignorati dalla Commissione per l’Organizzazione degli Uffici e dei Tribunali Curiali istituita proprio da Paolo IV, la Congregazione del Terrore che avrebbe dovuto vigilare sulle attività di tutti i funzionari di Roma, a cominciare da quelli preposti alle coniazioni monetarie in metalli preziosi, persone prive di scrupoli che arrivavano a ritagliarsi grandi quantità di argento dal bordo delle monete. In realtà la Congregazione del Terrore interveniva prevalentemente sulle comunità ebraiche dello Stato della Chiesa.

Uomo di cultura immensa e raffinata, Camerario provò a minacciare i prelati inadempienti sul terreno a loro più congruo, quello religioso: “Ogni peccato non confessato sarà punito dal fuoco del Purgatorio” scrisse in un Trattato evitando di menzionare la prospettiva dell’Inferno. Pronta la risposta dei prelati nobili del Tribunale Papale al cui giudizio fu sottoposto: gli appiopparono due anni di galera a causa della sua amicizia con Niccolò Franco, l’estroso poeta satirico pure lui beneventano che fu poi impiccato per eresia sul Ponte Sant’Angelo.

Convinto ormai che evasori si nasce, se si nasce là dove c’è molto da pagare, come allora si diceva non soltanto a Roma, avendo cioè personalmente verificato che le tendenze al malaffare sono incurabili se causate non da necessità di vita povera ma da condizioni sociali privilegiate intoccabili da secoli, Bartolomeo Camerario tornò a Napoli per dedicarsi all’avvocatura senza rischi. Quando gli Amministratori del Comune di Benevento andavano ad affidargli le cause accettava in pagamento un paio di polli, un po’ di anice, torrone e un pacchetto di cera bianca per il suo mastro candelaio.

Se fosse tanto irrisorio il suo onorario non si sa. Senza dubbio dimostrava per la sua Benevento un amore oggi non ricambiato. All’inizio della stradina che dal Corso Garibaldi va dritta a Piano di Corte, qualcuno fa caso al suo nome sulla targa civica, ma se incontrasse Bartolomeo Camerario lì a passeggio, barba baffi e sontuosa mantella con pelliccia in bella vista, da magistrato autorevole, probabilmente non lo saluterebbe nemmeno.

ELIO GALASSO