L'alterità di Benevento. Ovvero come si costruisce l'identità di città delle streghe Cultura

Benevento è una città che conta oltre tremila anni di storia, se dobbiamo prestare fede alla tradizione che la vuole fondata dall’eroe greco Diomede, dopo il suo ritorno dalla guerra di Troia (circa 1200 a. C.). Purtroppo nella sua città aveva trovato la moglie Egialèa che ormai conviveva con un altro, credendolo morto dopo 10 anni che non dava sue notizie. Egli allora preferì andarsene per il mondo, fondando città qua e là. Nella nostra, egli lasciò in dono anche le zanne del cinghiale caledonio, che erano custodite in un tempio della città.

Oggi Benevento è capoluogo di una provincia della Campania, ma il visitatore, percorrendo le sue strade e notando le fisionomie e gli atteggiamenti degli abitanti, avverte che essa è diversa dal resto delle città campane. Non per niente, l’imperatore Augusto, quando stabilì gli 11 territori in cui suddivise l’Italia romana, all’incirca nel 7 d.C., annoverò Beneventum tra le città della regio secunda, che comprendeva Apulia et Calabria.

Posta in una zona interna, quasi sullo spartiacque tra il versante tirrenico e quello adriatico, la romana Beneventum costituì il passaggio obbligato tra il Nord e l’Est della penisola sin dalla preistoria, quando già i pastori dell’Età del Bronzo avevano aperto quelle direttrici, seguendo le loro greggi nelle transumanze dai monti abruzzesi alle pianure adriatiche e viceversa. L’Appennino nel suo tratto campano attraversa l’Irpinia, mentre il territorio beneventano si spiana nelle vallate alluvionali costituite dall’azione di vari fiumi: il Volturno, il Calore coi suoi affluenti, il Sabato e il Tammaro, originando la Valle Telesina, la Valle Beneventana e la Valle del Tammaro, contornate solo da dolci colline, unica altura di rilievo nel nostro territorio è il massiccio erratico del Taburno-Camposauro, il cui profilo, visto da Benevento, apparve alle nostre genti come una gigantesca donna che giace supina chiamata perciò la Dormiente del Sannio.

I Sanniti della Valle Beneventana appartenevano alla tribù degli Irpini e la loro città più importante era Malventum, il cui nome una vecchia interpretazione riconduceva al greco, in riferimento all’allevamento ovino (Maloenton) e a un attributo di Apollo (Malies, Maloeis), ma, secondo un’altra interpretazione, che mi appare più convincente, il nome della città era una parola osca, che doveva significare luogo fangoso, visto che malv- è una variante di mef-, melf-, riconducibili alla radice indoeuropea meldh (tritare, sminuzzare), che ha dato in italiano parole come melma, merda e altre con apofonia vocalica come molle, molire. La città era nata, infatti, in prossimità dell’acqua. Gli scavi condotti negli anni ‘90 in contrada Cellarulo, un luogo di antico insediamento in prossimità della confluenza dei fiumi Sabato e Calore, misero in luce muri tufacei del IV sec. a. C., mentre ritrovamenti neolitici provengono da Via Goduti, posta sulla riva destra del Calore, dove c’erano terrazzamenti collinari che furono abitati dai Sanniti.

Il primo episodio che segna l’alterità di Benevento riguarda proprio il nome della città che fu cambiato a opera dei Romani. L’episodio, narrato da Livio, è famoso e dimostra chiaramente che gli stranieri sono vittime di pregiudizi e percezioni negative spesso frutto di ignoranza o incomprensione di una realtà diversa e aliena.

Malventum, infatti, fu nemica dei Romani per tutta la durata delle tre Guerre Sannitiche (343-341; 326-304; 298-290), poi inaspettatamente i Romani ottennero l’aiuto dei Malventani quando combatterono le guerre tarentine e si scontrarono con Pirro, re dell’Epiro, nel 275, proprio nei pressi di Malventum. Dopo la vittoria su Pirro, per sdebitarsi con i Malventani, i Romani che pronunciavano il nome osco Malventum alla latina Maluentum / Maleuentum, sentivano questo nome come maleaugurante, perché vi individuavano i sostantivi malum ed euentum, cioè accadimento negativo e quindi pensarono bene di fare un piacere agli ex nemici ribattezzando la loro città col nome Beneventum, sentito come propizio e che conservò da allora in poi.

Comincia così, con la negazione del suo vero nome, la strana storia di una città che è sempre qualcos’altro, è sempre diversa e in controtendenza rispetto al resto d’Italia, a cominciare dalla religione.

Secondo la tradizione ecclesiastica, Benevento sarebbe diventata cristiana molto presto. Addirittura avrebbe avuto un vescovo, San Fotino, inviato da San Pietro in persona, già dal 40 d.C. Insomma sette anni dopo la morte di Cristo, Benevento sarebbe stata già cristianizzata. Le evidenze archeologiche e letterarie ci dicono invece che il cristianesimo vi attecchì molto tardi, mentre il paganesimo resistette almeno fino al IV sec. d. C.

Ne è dimostrazione il fatto che a Benevento, come pure in molti altri luoghi d’Italia (Roma, Pompei, Napoli, etc.) sorgeva un tempio di Iside, una divinità egizia che presiedeva al matrimonio, alla maternità, alla notte, alla magia, sin dall’88 d. C., costruito da Marco Rutilio Lupo, un influente cittadino beneventano, che dedicò il tempio all’imperatore Domiziano, notoriamente seguace della divinità egizia. Il culto alla dea, assieme a quello per altre divinità pagane, in particolare la Magna Mater Cibele, sopravvisse a lungo, infatti, il prefetto di Roma, Quinto Aurelio Simmaco, in visita a Benevento dopo un sisma, notò con compiacimento con quanta alacrità i cittadini restaurassero i templi, scrivendo con soddisfazione in una lettera a suo padre nel 375 d.C. che (dei beneventani) “Deos magna pars veneratur”, una gran parte dei beneventani venera gli Dei.

L’autorevole testimonianza del pagano Simmaco, autore della “Relatio arae Victoriae”, con cui chiedeva all’imperatore Teodosio di non rimuovere l’altare alla dea Vittoria presente nella curia del Senato romano, come prevedeva l’Editto di Tessalonica del 380 che stabiliva il cristianesimo come nuova religione di Stato, quindi faceva crollare la rappresentazione di Benevento come città fedele a Cristo da subito; perciò fu necessaria una piccola correzione al testo tràdito delle lettere di Simmaco e al posto del plurale “deos”, gli dei, del testo originale qualcuno interpolò il singolare “Deum”, dio che trasformò la pagana Benevento che celebrava ancora nel IV sec. la festa in onore di Iside protrettrice della Navigazione, Navigium Isidis, in un ossequiente comunità di fedeli cristiani, come riporta a esempio Pompeo Sarnelli nel 1691. Ma a far ritardare ulteriormente l’adesione di Benevento alla chiesa di Roma ci pensarono poi i nuovi arrivati: i Longobardi.

Di questo parleremo la prossima volta.

PAOLA CARUSO