Mariana Starke. L'enigma dell'obelisco di Benevento Cultura

Arrivò da turista a Benevento in un pomeriggio di primo Ottocento, sola. Nessuno l’aspettava. Aveva il corredo femminile da viaggio consueto al suo tempo, una tasca segreta per i soldi, un coltello come arma da difesa, libri e taccuini per appunti, medicinali, una borraccia d’acqua, qualche limone, ventaglio e ombrellino per il sole che in Italia feriva le donne del Nord. Qualche giorno dopo, la scrittrice britannica Mariana Starke (1762-1838) se ne tornò a Napoli.

Raccontò poi la sua visita nel 1828 nel volume Travels in Europe for the use of Travellers (Diario di viaggi ad uso di viaggiatori) dando una notizia mai sentita: “A Benevento fu adorata Iside. Su un obelisco egizio, esistente tuttora nella città, si ricorda che Domiziano ne restaurò il tempio”. Quei dati storici erano scritti in caratteri geroglifici ancora incompresi sull’obelisco beneventano, ignoto al geniale egittologo Jean-François Champollion che nel 1822, appena sei anni prima, aveva finalmente decifrato la scrittura geroglifica degli antichi egizi utilizzando i testi incisi sulla Stele di Rosetta, famosa lapide esposta oggi nel British Museum di Londra.

Chi, tra il 1822 e il 1828, aveva tradotto l’iscrizione dell’obelisco di Benevento e l’aveva comunicata alla Starke, che la scrisse nel suo Diario? Un vero e proprio enigma culturale.

Pioniera tra le viaggiatrici in Europa, Mariana Starke orientò verso la città pontificia molti viaggiatori del Grand Tour col suo stile narrativo colorato di immaginario: la città si chiamava Maleventum perché era sferzata da venti dannosi”… l’esercito romano fu sfortunato nella battaglia delle Forche Caudine”… Romanziera di successo, poetessa, autrice di sceneggiature teatrali, ogni tanto amava fantasticare anche sulla storia, solo un po’.

In un ritratto giovanile appare vestita da gentildonna (immagine) ma non utilizzava mezzi di trasporto privati per portare con sé guardaroba e serventi. Anzi, raccomandava di usare la ‘diligenza postale’, una carrozza pubblica che lungo il percorso si fermava nelle ‘poste’, stalle distanti tra loro circa tre ore, per sostituire i cavalli e far ristorare i clienti. Non si lamentava di dover dormire in locande indecorose, di essere costretta a spruzzare sul letto “gocce di lavanda per scacciare via cimici e pulci”, di mangiare alla men peggio, di camminare per le strade tra volgari sarcasmi maschilisti. Affrontava i pregiudizi sulle donne, sottratte allo studio, schiave del lavoro casalingo, costrette a tacere. Contestava Montesquieu che aveva scritto: “Essere schiave domestiche è comunque sempre meglio che essere schiave effettive”. Si immergeva nelle diversità sociali commentando consuetudini, abbigliamenti, gesti, linguaggi, cibi, cucina. Segnalava ai suoi lettori tutto quanto aveva personalmente riscontrato, paesaggi e locande, architetture e musei, orari e prezzi, le regole locali, come il passaporto per entrare e uscire da Benevento, l’opportunità di allungare qualche moneta ai doganieri… Il suo tipo di racconto era nuovo, affascinava.

Da Napoli a Benevento, passando per Acerra Arienzo Forchia Arpaia, occorrevano circa sette ore. Unica ‘posta’ ad Arienzo “provvista di un albergo tollerabile, chiamato ‘La casa di mezzo cammino’ ”. Dopo Montesarchio “l’arrivo a Benevento per la Via Appia è attraverso un’incantevole campagna irrigata dai fiumi Sabatus e Calor. Vicino alla confluenza di questi fiumi, in una fertile posizione sullo sfondo di bellissime colline, sorge la città. Vi si entra per mezzo di un antico e bel ponte romano in perfetto stato di conservazione, facente parte della Via Appia….. Era il Ponte Leproso.

Trovò ospitalità in una locanda, forse nel rione Triggio. L'indomani andò a conoscere la città a modo suo. Solo un cenno dedicò al magnifico Anfiteatro eretto da Vatinio (il Teatro romano) e a un Arco Trionfale eretto in onore di Traiano”. Neppure una parola sul duomo, monasteri, chiese, Rocca dei Rettori. Per lei il pathos dell'antico cedeva davanti alle condizioni di vita: Benevento sorge in una località incantevole ma le sue strade sono strette e sudice, e i suoi edifici moderni non possono vantare alcuna grandiosità né eleganza di stile”.

Non vide i frammenti egizi accatastati come materiali da costruzione nel cortile del Palazzo Arcivescovile, oggi ricomposti in un secondo obelisco custodito nel Museo del Sannio. Ma si soffermò davanti all’obelisco intero svettante sul sagrato della cattedrale, evidenziato poi in un disegno di Achille Vianelli. Quella spettacolare testimonianza del culto di Iside, scampata alle eliminazioni medievali perché incompresa, trasferita poi nel 1872 in Piazza Papiniano, restava per tutti senza significato. Eppure, la grande viaggiatrice ne conosceva con esattezza il messaggio storico, e lo scrisse nel Diario del 1828

Prima del 1828 l’unico ad occuparsi di obelischi fu l’italiano Luigi Maria Ungarelli (1779-1845), uno dei migliori allievi di Champoillon. Padre barnabita attivo a Roma e in contatto con la Benevento pontificia, Ungarelli formò un nucleo di ricercatori, arrivando a ideare il Museo Egizio Vaticano del quale fu nominato Primo Ispettore da Papa Gregorio XVI. Soltanto da lui la Starke può aver ricevuto le sue sorprendenti informazioni sull’obelisco beneventano. Purtroppo, così come Mariana Starke, anche Luigi Maria Ungarelli, intellettuale di livello internazionale citato da Enrico Isernia nella Istoria della città di Benevento stampata nel 1895, rimane ignorato dalla odierna Benevento.

Partì infine dalla città pontificia la scrittrice britannica. Aveva svelato, non solo ai beneventani, che la Benevento antica era stata profondamente caratterizzata dal culto della maternità identificata nella dea Iside, e poi nella Madonna, e che dopo il sostegno ufficiale dell’imperatore Domiziano era intervenuto un plurisecolare insabbiamento del culto isiaco ridotto a stregoneria.

Sarebbe doveroso che Benevento rendesse omaggio a Luigi Maria Ungarelli e a Mariana Starke nell’attuale Bicentenario della decifrazione della scrittura geroglifica (1822-2022), che intanto il Museo Egizio di Torino - ‘gemello’ in Italia del Museo del Sannio - sta celebrando con la mostra Il dono di Toth: leggere l’antico Egitto, aperta fino al prossimo 7 settembre 2023, mentre l’Egitto chiede al Governo britannico di restituire la Stele di Rosetta alla sua terra d’origine.

ELIO GALASSO